NAPOLI. La pastiera napoletana: un nome che evoca profumi intensi, delicate consistenze e un sapore che fluttua tra la dolcezza della ricotta e la fragranza del grano.
Questo dolce pasquale (sebbene a Napoli si prepari anche a Natale) è un connubio affascinante tra la concretezza degli ingredienti della terra e la magia di antiche leggende che ne avvolgono la storia.
Radici terrene: dalla campagna ai conventi
Torta di pasta frolla (la pettola) farcita con un impasto a base di grano bollito nel latte, ricotta, zucchero, uova e, a seconda della ricetta, di crema pasticcera, il dolce è ricoperto di strisce che ne limitano la fuoriuscita del composto.
Gli aromi possono consistere in cannella, scorze d’arancia, vaniglia e acqua di fiori d’arancio, buccia di limone, canditi, millefiori e alcolici (limoncello, Strega e altri).
Se da un lato le sue origini si perdono in un passato remoto, con echi di riti pagani dedicati alla dea Cerere e all’abbondanza dei raccolti primaverili, la forma più definita della pastiera sembra affondare le sue radici in un contesto più “terreno”: quello dei conventi napoletani.
Custodi di antichi saperi e maestre nell’arte culinaria, le monache avrebbero saputo trasformare i semplici doni della terra in un’armonia di sapori.
Si narra che l’ingegno abbia poi portato a un arricchimento dell’impasto con l’acqua di fiori d’arancio e lo zucchero. Il profumo inebriante che si sprigionava durante la preparazione si dice conquistasse i cuori dei passanti; ciò portò il dolce a divenire passione e desiderio di un’intera città.
La prima ricetta attestata risale al 1693; Antonio Latini, cuoco, che ne scrisse nel suo Lo scalco alla moderna. Ma ne parlerà anche, nel 1837, Ippolito Cavalcanti che ne riporta una nuova ricetta nell’appendice dialettale Cusina casarinola all’uso nuosto napolitano, compendio della gastronomia popolare di Napoli, inserito nella prima edizione del suo trattato didattico Cucina teorico-pratica. [fonte: Wikipedia]
La pastiera conquistò anche la regina Maria Teresa d’Austria. Si racconta che la sovrana, inizialmente incuriosita dall’aspetto semplice del dolce, ne rimase estasiata al primo assaggio, riconoscendone la squisitezza e sancendone la nobiltà in ambito gastronomico.
Partenope e i sette sentieri della città
Accanto a questa origine più concreta, la pastiera si ammanta di un’aura “spirituale” e mitologica, intrecciandosi con le leggende che, nel tempo, hanno plasmato l’anima di Napoli.
La più celebre è senza dubbio quella legata alla sirena Partenope.
Ammaliata dalla bellezza del golfo, la mitica creatura scelse queste coste come sua dimora, incantando gli abitanti con il suo canto melodioso. Grati per la sua presenza benevola e per la prosperità che donava alla terra, i napoletani decisero di offrirle i simboli più preziosi del loro territorio: la farina, la ricotta, le uova, il grano germogliato, l’acqua profumata, le spezie e il dolce miele.
Partenope, commossa da tanta generosità, mescolò con il suo canto magico questi doni, infondendo loro la sua essenza divina e creando la pastiera, un omaggio tangibile al legame indissolubile tra lei e quella che aveva scelto come sua città.

Un altro legame “spirituale” si manifesta nella tradizione di decorare la pastiera con sette strisce di frolla, intrecciate tra loro. Si narra che queste rappresentino i sette decumani che strutturavano l’antica Neapolis.
Ogni striscia diviene così un omaggio alle arterie vitali della città primigenia, un modo per connettere il sapore del presente con la storia millenaria. Questo dettaglio non è puramente estetico, ma carica il dolce di un significato profondo, radicandolo nell’identità urbana e nel suo evolversi nel tempo.

Sebbene nessuno abbia dato mai credito a queste leggende metropolitane, è tuttavia affascinante accostare un po’ di spiritualità, anche considerando il periodo in cui il dolce viene consumato un po’ dappertutto, ossia la Pasqua di Resurrezione.
Un rito che Unisce Terra e Cielo
Oggi, la preparazione della pastiera è un rito che si rinnova di anno in anno, unendo la sapienza delle mani che impastano con la memoria delle generazioni passate. Ogni famiglia custodisce la propria ricetta come un tesoro, tramandando gesti e segreti.
Anche il “ruoto“, il tradizionale recipiente in cui la pastiera viene cotta, è avvolto da un suo rituale speciale.
Il profumo inconfondibile che pervade le case napoletane nei giorni che precedono la Pasqua crea un’attesa vibrante, un’anticipazione della gioia della convivialità.
Ed è proprio all’insegna di questa condivisione che i “ruoti di famiglia” viaggiano di casa in casa, scambiati con affetto tra parenti e vicini in una sorta di amichevole sfida a chi prepara la pastiera più buona! Spesso accade che l’anno successivo ritorni nelle proprie mani il ruoto offerto l’anno prima, e il ciclo di questa tradizione si rinnova.
Insomma, la pastiera è molto più di un semplice dolce. Essa è un ponte tra la concretezza degli ingredienti che la compongono e la spiritualità delle leggende che la narrano.
È un assaggio di storia, un frammento di mito, un simbolo della tenacia e della creatività del popolo napoletano, capace di trasformare i doni della terra in un’esperienza sensoriale e spirituale unica.
Però mi raccomando: “bilanciate” bene!