Dai silenzi del bosco alla luce di Roma: il viaggio poetico di Fernando Mangone
C’è un silenzio che parla, a volte. È il silenzio dei boschi, quello che si fa spazio tra i rami e le radici, quello che avvolge il gesto di un artista quando, dice qualcosa che le parole non sanno più dire.
Fernando Mangone, pittore campano, da quel silenzio ha tratto la sua Lupa. Non una lupa feroce, non una lupa materna nel senso tradizionale. Una Lupa blu. Colore profondo, colore simbolico, colore che accoglie e protegge. L’ha dipinta come si dipinge un’idea che nasce da lontano, da un’infanzia forse, o da un sogno.
Ora quella Lupa è arrivata a Roma. È scesa dai monti di Buccino, dov’è nato il MaM – il Museo di Arte Moderna immerso nella natura – ed è approdata nel cuore della Capitale, negli spazi antichi e luminosi dell’Università Popolare di Roma, nell’elegante Palazzo Englefield.
Colori, citazioni, emozioni
Roma, con la sua storia lunga e complicata, Roma madre e matrigna, accoglie questa figura dipinta come si accoglie un’antica amica tornata da un lungo viaggio. La mostra – che raccoglie oltre sessanta opere – è un itinerario fra citazioni classiche, visioni letterarie, e colori che si fanno emozione. Un’arte che non urla ma chiama. Che non impone, ma invita.
L’artista: “Ogni opera é un ponte tra passato e futuro”
Mangone stesso ha detto parole che somigliano a una poesia:
“Portare la Lupa nella Capitale è chiudere un cerchio iniziato nei silenzi del mio bosco. È aprirne un altro, fatto di dialogo, memoria e visione. Ogni mia opera è un ponte tra passato e presente. È un atto di restituzione, una carezza alla città che ho sempre portato dentro”.
Il ricordo di Sándor Márai
E mentre la Lupa si faceva simbolo, un altro simbolo si affacciava alla scena: il ricordo di Sándor Márai, scrittore ungherese che dell’esilio e dell’identità ha fatto materia letteraria. A 125 anni dalla sua nascita, è stato presentato il saggio Il penultimo dono, di Maurizio Pintore. Una riflessione intima e politica sulla “terza via” di Márai, quella del pensiero libero, senza appartenenze cieche.
L’iniziativa, sostenuta con grazia e passione dall’Accademia d’Ungheria a Roma, dalla Fondazione Sándor Márai e dall’Upter, ha trovato nel presidente Francesco Florenzano un promotore sensibile, consapevole che l’arte – come la letteratura – è un bene fragile e necessario. Un seme da piantare ogni volta da capo, con umiltà.
Così, tra un’opera e un passo di lettura, tra il blu profondo della Lupa e le parole di Márai, Roma si è ritrovata a riflettere su sé stessa. E forse, per un attimo, si è riconosciuta.
Dai silenzi del bosco alla luce di Roma: il viaggio poetico di Fernando Mangone