È quasi mezzanotte. Tra poco sarà di nuovo l’8 marzo. Sono chiusa nella mia cucina, al caldo. Il silenzio della notte si stende come una coperta pesante, interrotto solo dal respiro leggero della casa che sonnecchia. Fuori, oltre il vetro appannato, gli Alburni si ergono bui, austeri, immobili, punteggiati dalle luci fioche di Postiglione. Penso a quanto sono fortunata: ho un tetto sopra la testa, una casa calda, un letto che mi aspetta, un piatto caldo.
Quante donne hanno perso tutto?
Quante si trovano in mare, strette in un barcone alla deriva, il ventre gonfio di paura? Quante sono in un angolo di mondo sperduto, in fuga da una guerra che non hanno scelto, da un uomo che le insegue, da un destino già scritto? Quante dormono su un pavimento gelido, con i figli rannicchiati accanto, un fagotto di ossa e speranza? Quante sono vittime di uomini bambini e violenti?
L’8 marzo è memoria, è lotta
L’8 marzo non è una festa. Non è un giorno di mimose regalate con distrazione, né un’occasione per cene tra donne che si concedono una serata di libertà. L’8 marzo è memoria, è lotta, è il giorno in cui si dovrebbe alzare la voce per chi non può più farlo. Per le donne che hanno perso la vita per mano di un uomo, per chi ogni giorno si sveglia in un mondo che ancora le considera meno degne, meno capaci, meno meritevoli.
Nel 2023 in Italia sono state uccise 120 donne
Eppure, c’è chi dice: “Ma le donne oggi possono tutto”. Possono? Possono camminare sole di notte senza paura? Possono ottenere uno stipendio pari a quello dei loro colleghi uomini? Possono parlare senza essere interrotte, decidere senza essere giudicate, vivere senza essere controllate? I numeri raccontano una storia diversa. Nel 2023 in Italia sono state uccise 120 donne. Una ogni tre giorni. Uccise da uomini che dicevano di amarle. La violenza di genere non è un fatto privato, non è un raptus, non è un incidente. È una guerra silenziosa, combattuta nelle case, negli uffici, nelle strade. È un sistema che protegge i carnefici e isola le vittime. Se una donna denuncia, le chiedono se fosse sobria, se avesse provocato. Se una donna lascia, le dicono di ripensarci, di essere paziente, di dare una seconda possibilità.
Il gender pay gap in Italia è ancora del 16%
Sul lavoro, la disparità è un dato di fatto. Il gender pay gap in Italia è ancora del 16%, e le donne occupano solo il 18% delle posizioni dirigenziali. Eppure, alle scuole elementari, alle medie, alle superiori, all’università, le ragazze sono brave. Spesso più brave dei loro compagni maschi. Studiano, si impegnano, ottengono risultati eccellenti. E poi? Poi scompaiono. Come se qualcuno le avesse cancellasse da un registro, come se il loro talento non fosse mai esistito. Dove finiscono? Chi ha deciso che non erano abbastanza?Scrivo con la consapevolezza di chi ha vissuto questa battaglia non solo sulla propria pelle, ma anche nelle istituzioni e nei luoghi della solidarietà. Sono stata presidente della Commissione Pari Opportunità del mio comune, ci altee donne, Maria Granito e Titty D’Aniello?ho fondato anni fa un’associazione di donne che oggi conta cento iscritte. Ho ascoltato storie di fragilità e forza, ho visto quante donne sono pronte a combattere per i loro diritti. Ma ho anche compreso che il problema non è mai stato nelle donne.
Il problema é in famiglia
Il problema è sempre stato nel contesto familiare e culturale in cui sono cresciute, in cui sono cresciuti anche gli uomini. Perché la violenza, il dominio, l’insicurezza maschile nascono da un’educazione che ha fatto vittime ovunque. Anche gli uomini, spesso, sono prigionieri di un modello che non hanno scelto, di pregiudizi e aspettative che li soffocano e li trasformano in carnefici o in vittime silenziose. Gli hanno insegnato a non piangere, a comandare, a non mostrarsi deboli. Gli hanno insegnato che l’amore è possesso, che una donna non si lascia, che la rabbia è l’unico linguaggio ammesso.
Molestie travestite da complimenti
L’8 marzo dovrebbe essere il giorno della consapevolezza. Dovremmo smettere di dire alle donne di stare attente e cominciare a educare gli uomini al rispetto. Dovremmo smettere di accettare stipendi più bassi, molestie mascherate da complimenti, colpevolizzazioni striscianti. Dovremmo urlare forte che la parità non è un privilegio, ma un diritto.Penso che fino a quando ci sarà una sola donna che ha paura, che subisce, che viene zittita, nessuna di noi sarà veramente libera. Buon otto marzo di lotta.