L’ingegnere Guglielmo Mele è un uomo distinto, elegante nei modi e nel pensiero, si definisce “figlio della guerra”.
La storia
La madre Lora De Micco, pianista di straordinaria sensibilità e il padre l’ingegnere Angelo Mele.
Settembre 1943
Campagna, settembre 1943. L’Italia è nel caos, l’8 settembre, Badoglio ha annunciato la resa dell’Italia. I tedeschi, fino a poco prima alleati, diventano nemici. Gli americani avanzano da Sud. I bombardamenti si susseguono.
Angelo Mele
Il 14 settembre l’ingegnere Angelo Mele muore in località San Vito, vittima di mitragliamento aereo mentre tornava dal seppellimento della salma del cavaliere Angelo Mirra, titolare della centrale elettrica di Campagna. Per due settimane nessuno sa dove sia finito. Poi il corpo viene ritrovato in una casa, senza vita, depositato nel casino dei Buccella. Lora, rimasta sola con due bambini, Guglielmo e Albino, cerca di resistere. Ma la città è un bersaglio.
La penicillina
Il 17 settembre, un’altra pioggia di bombe si abbatte sulla popolazione Morti e feriti, lo stesso Guglielmo undicenne viene ferito a una gamba. Giocava con gli amici. Uno di essi va incontro a un altro ragazzino. Poi si sposta di poco. Si salutano come fanno i bambini, con un gesto semplice e affettuoso: una mano tra i capelli, un sorriso, uno sguardo. Percorre pochi passi, sceglie un’altra direzione, va incontro ad un altro amico e viene spazzato via dall’esplosione.
Il ricordo di un amico
“Io ero sotto il palazzo arcivescovile quando Pasqualino si incontrò con un ragazzo che, unitamente alla madre, si accodava alla moltitudine di coloro che attendevano a ricevere la razione di pane. Si scambiarono effusioni e il ragazzo, dopo un po’, fu richiamato a sé dalla madre. Pasqualino invece di seguirmi si avviò verso la salita. Passarono pochi secondi. Al frastuono degli aerei si unì il sinistro sibilo delle bombe, non mi seguì per via Molinari dove abitava. Lo vidi andare all’inizio della salita, pensando, forse, di poter trovare un maggior rifugio sotto gli alberi. Si chiamava Pasqualino Adelizzi. Di lui restarono pochi resti”.

A quella tragedia sopravvivono i platani alti e scheggiati, bisognerebbe andare in pellegrinaggio in Largo della Memoria. Quei platani alti e robusti testimoniano la forza della vita.
Lasciano la città
Lora capisce che non possono restare. Prende i figli e si rifugia nelle campagne circostanti. Guglielmo soffre, la ferita peggiora.
La penicillina
Poi, la fortuna. Nei campi arrivano gli americani. Si nascondono tra le foglie, cercano di evitare i tedeschi. Notano il ragazzo, si accorgono subito della gamba. Non si può aspettare. Tirano fuori delle fialette, gli fanno delle iniezioni. Poi danno delle fialette alla madre e le spiegano come usarle. È penicillina. Nel 1943, in Italia la conoscono poco, quella che c’è è di contrabbando.
Angelo non tornerà
Il padre non tornerà. Il suo amico non c’è più. Ma Guglielmo vive. E con lui resta una domanda. Se l’armistizio era stato firmato, perché continuavano a bombardare? Perché, il 14 e il 17 settembre, bisognava ancora morire?
Il male è cieco
Forse il male, il male vero, è cieco. Non si interroga, non si ferma, non distingue. Agisce con la freddezza di un comando impartito da una stanza lontana, dove la morte non ha odore né volto. Hannah Arendt parlava della “banalità del male”, di quella macchina crudele che avanza senza riflettere, senza che nessuno si chieda perché.
Gli occhi di un testimone
Eppure, il perché resta. Resta nel cuore di chi ha perso un padre, un amico, una casa. Resta negli occhi di Guglielmo Mele, che ancora oggi piange per chi non c’è più. E forse ricordare è l’unico modo che abbiamo per dare un senso a tutto questo.
Foto di copertina Guglielmo Mele bambino con la madre Lora De Micco Mele a Napoli