NAPOLI. Timeless for Life: Un’avventura nel cuore dell’Africa

Un gruppo di amici, uniti dal desiderio di fare la differenza, ha dato vita a “Timeless for Life” per portare aiuto e speranza in Africa. Abbiamo intervistato Antonio Corbi, ingegnere con la passione per la fotografia, che svolge anche professionalmente (e uno dei membri del gruppo), per scoprire di più sulla loro incredibile avventura.

 

 

Cos’è e come nasce Timeless for Life?

Non è una vera e propria associazione, infatti facciamo capo a “Missionari di Bigene Onlus”; siamo un gruppo di amici che da qualche anno si reca in Guinea-Bissau per portare aiuti e ricevere in cambio sorrisi e gioia. Il nome Timeless for Life lo abbiamo scelto per darci un’identità anche sui social che sono un valido aiuto per ciò che facciamo.

Tutto è iniziato nell’ottobre 2019, quando io e Alfredo, anche lui fotografo, abbiamo conosciuto Alessandro e Don Marco durante un incontro dove presentavano la missione di Bigene in Guinea Bissau. Siamo stati subito accolti nel progetto assieme al videografo Michele Angler e ci siamo subito mobilitati per organizzare il viaggio, acquistare i biglietti aerei e attivare le relative procedure. A gennaio 2020, finalmente, si parte!

Inizialmente, l’idea era quella di arricchire il nostro portfolio fotografico con immagini dell’Africa: volti, grandi panorami, colori. Ma una volta lì, abbiamo capito che c’era molto di più.

Don Marco (che ha svolto il suo ministero lì per quasi otto anni) ci portava nei villaggi e ci istruiva, spiegando e raccontando le storie di quelle persone. Ricordo i bambini che giocavano con le ruote delle biciclette spinte da bastoni di legno o con palloni di carta improvvisati. E Don Marco ci ha aperto gli occhi proprio sulla dura realtà che si cela dietro quelle scene spensierate. Ci ha raccontato della povertà e delle necessità di quelle comunità (in particolare della mancanza di acqua potabile).

 

 

Per noi è scontato aprire il rubinetto e trovare l’acqua corrente, per loro diventa complicato percorrere diversi chilometri anche più volte al giorno per prenderla dai villaggi vicini. L’acqua serve per mangiare, per cucinare, per lavarsi e per irrigare l’orto, i cui prodotti vengono sia mangiati che venduti per acquistare il riso, che è l’alimento principale.

 

Ci siamo chiesti come poter continuare ad aiutare. Attraverso la fotografia, abbiamo trovato un potente strumento non solo per documentare, ma anche per sensibilizzare e raccogliere fondi. E così abbiamo iniziato a organizzare mostre, eventi e incontri, condividendo la nostra esperienza e le nostre emozioni. La nostra testimonianza diretta ha ispirato fiducia e ha spinto sempre più persone ad aiutarci.

 

Quali progetti avete realizzato?

All’interno della missione, dove risiedono le suore, c’è un’ampia area con diversi “corpi di fabbrica”. In uno di questi vivono loro, in un altro il parroco, e in un altro ancora gli ospiti in visita. La missione ospita anche un centro nutrizionale, una maternità con sala parto e degenza. Ed una scuola dove attualmente, studiano circa 335 bambini del villaggio. Ogni giorno, intorno alle 10 del mattino, le suore preparano il riso per tutti loro.

Con i fondi raccolti, in pochi anni, abbiamo realizzato risultati straordinari:

  • Tre nuovi pozzi costruiti (uno nel 2021, due nel 2024).
  • 9.000 € raccolti nell’ultimo anno, utilizzati per il recupero di 6 pozzi in disuso (3 completati mentre eravamo ancora in viaggio).
  • 4 latrine costruite per la scuola della missione gestita dalle suore.
  • Un anno di riso garantito per 335 bambini della scuola.
  • 500 € devoluti all’orfanotrofio di Bambaram a Bissau.
  • Distribuzione di vestiti, medicine per il centro maternità e dolci per i bambini.

 

 

Siamo determinati a continuare, a scavare non solo pozzi d’acqua, ma anche a realizzare nuovi progetti, come la costruzione di una struttura ricettiva all’interno della missione per accogliere

volontari, sostenitori ed eventi. Questo nuovo progetto nasce grazie alla collaborazione con una coppia di amici di Milano che qualche anno fa, dopo un viaggio a Bissau, hanno deciso di celebrare proprio lì il loro matrimonio. Ritornati quest’anno con i loro piccoli figli per dare, ma soprattutto ricevere amore.

 

Ci racconta un momento particolarmente toccante?

Diciamo che il nostro ultimo viaggio, lo scorso febbraio, è iniziato “col botto!” Questa volta a partire con noi c’era anche Selenia Accettulli, un’ostetrica unitasi al gruppo. Anche lei aveva già fatto un’esperienza in Africa nel 2020 e quest’anno è partita con noi. Sarà proprio lei la protagonista dell’episodio che è avvenuto a poche ore dal nostro arrivo.

Atterrati all’una e mezza di notte, dopo tre ore di viaggio in auto, siamo arrivati alla missione. Appena il tempo di posare i bagagli e rinfrescarci, ci aspettavano alle 10 in chiesa per presentarci alla comunità. Ma Selenia, che aveva saputo di una donna incinta in procinto di partorire, è voluta passare prima alla maternità.

Improvvisamente la situazione è precipitata: il bambino è nato, ma non piangeva. Le macchine fotografiche che sarebbero servite a documentare con la dovuta discrezione l’evento, sono state messe da parte: la priorità era la vita.

L’emozione ci ha sopraffatti, le lacrime hanno iniziato a scendere. Selenia ha preso in mano la situazione, iniziando a praticare il massaggio cardiaco. Noi, da fuori, la incoraggiavamo, pregando e sperando in un miracolo. I minuti passavano e il bambino non dava segni di vita, se non qualche sussulto.

Selenia non si è arresa, e noi abbiamo continuato a sostenerla, a darle forza. E finalmente, il pianto del neonato ha riempito la stanza. Sembrava averci aspettato, come per ricordarci l’importanza della vita e l’intensità dell’esperienza che stavamo per vivere.

 

 

Nei 15 giorni successivi c’è stata un’ondata di emozioni intense. In ogni villaggio, cercavamo di portare un sorriso, ballando e cantando tutti assieme, ma le lacrime non mancavano mai.

Siamo stati invitati a una festa di diciotto anni, a un matrimonio musulmano, a una festa studentesca e anche il nostro Sandro, che compiva gli anni l’11 febbraio, ha avuto il suo regalo. Le suore, saputo del compleanno, durante la colazione lo hanno preso e portato nel cortile. Lì, in rigoroso silenzio, i bambini erano schierati e, al cenno della suora, hanno iniziato a cantare Tanti auguri a te in kriol (lingua creola basata sul portoghese). La prima cosa che è riuscito a dire il festeggiato, dopo essersi ripreso dall’emozione, è che quello era il compleanno più bello della sua vita.

E di nuovo, lacrime di gioia a volontà!

 

 

Cosa vi ha colpito di più dell’Africa?

La loro capacità di affrontare la vita con il sorriso, nonostante le difficoltà. Loro vivono nel presente, hic et nunc. Accolgono la morte come parte integrante della vita. Che il bambino si fosse salvato o meno, ad esempio, per la mamma sarebbe stato lo stesso, e non per mancanza di amore verso il proprio figlio. Loro convivono con la morte come con la vita, dandogli pari importanza e pari dignità.

Presentano un senso molto forte della comunità e non dell’individualismo.

È un’esperienza che ti segna profondamente e fa molto riflettere.

Rientrati da questa, che è stata la nostra terza missione, io e i miei compagni di viaggio siamo ormai “famiglia”. Ci sentiamo quotidianamente. Nonostante sia passato solo un mese, la nostalgia è fortissima e il quotidiano ci va sempre più stretto.

 

Dunque è questo il “Mal d’Africa”?

Non è solo nostalgia, ma un legame profondo con quelle persone e quella terra.

Il ‘Mal d’Africa’ è un’esperienza che ti avvolge completamente, fatta di sorrisi di bambini che ti si aggrappano, ti tengono per mano, o addirittura per un dito, pur di mantenere il contatto. Ti seguono ovunque, anche per chilometri, desiderosi di stare con te. Si divertono a ballare, quando dai loro una caramella, la condividono, e se qualcuno rimane senza, la spezzano e la offrono. Questo, per me, è il ‘Mal d’Africa’.

 

 

Un episodio che mi ha particolarmente colpito è successo negli ultimi giorni della nostra permanenza. Eravamo a Sanquer Ba uno dei tanti villaggi visitati, come sempre a ballare con i bambini. Mentre facevamo un girotondo, sento un pianto. Mi giro e vedo un bambino, un minino, con ai piedi due ciabatte diverse, ma fiero di averle. Forse, senza volerlo, gli ho calpestato un piedino. Lo prendo in braccio, lo stringo forte, continuo a muovermi con lui fino a quando si calma. E poi, all’improvviso si è addormentato sulla mia spalla. L’ho tenuto in braccio per tutto il tempo in cui siamo rimasti nel villaggio. Quando si è svegliato, ha iniziato a sorridere. Lui si chiama Bodo, ed è uno dei tanti bambini che mi porto nel cuore. Tornerò a trovarlo, gliel’ho promesso.

 

 

Da poco avete ottenuto anche l’autorizzazione di residenza. Di che si tratta?

È come una carta d’identità, ma in realtà è un visto permanente di durata quinquennale. Questo significa che abbiamo la possibilità di partire ogni volta che lo desideriamo, prendendo l’aereo e arrivando lì senza dover richiedere il nulla osta all’ambasciata a Roma. Avendo già la nostra scheda dati, è più facile entrare e uscire, e anche all’aeroporto, all’arrivo, non dobbiamo più compilare nessun modulo. Questo visto permanente ci permette, credo, di restare più dei 30 giorni convenzionali.

Questo ci fa sentire ancora più legati a quella terra.

 

È pericoloso viaggiare in Africa?

Nella zona in cui andiamo noi, no. La gente è accogliente e ci vede come amici, non come stranieri. Sanno che siamo lì per aiutarli e non per sfruttarli. Quello che non sanno è che siamo noi a dover ringraziare loro. Perché ci insegnano la bellezza della semplicità, la forza della condivisione, il valore della gratitudine.

La Guinea-Bissau proclamò l’indipendenza dal Portogallo il 24 settembre 1973 (riconosciuta a livello internazionale il 10 settembre 1974). È uno dei 20 paesi più poveri al mondo con una popolazione alquanto eterogenea per lingue, etnie e costumi. Nonostante questo, convivono tutti in modo pacifico e aldilà di particolari piccoli disordini a ridosso delle elezioni, non c’è alcun pericolo di guerre intestine o altro.

 

Cosa vi ha insegnato questa esperienza?

Che la felicità non dipende da ciò che possediamo, ma da ciò che siamo in grado di dare. L’Africa ci ha cambiato la vita, e ci ha insegnato a essere persone migliori.

Siamo semplicemente un gruppo di 8 amici, con esperienze e competenze diverse, uniti dalla volontà di trasformare il nostro impegno in aiuto concreto. Tra di noi ci sono:

  • Don Marco Camilletti – Parroco di Foggia e missionario a Bigene in Guinea Bissau da 8 anni.
  • Antonio Corbi – Ingegnere e fotografo di Napoli.
  • Alfredo Urbano – Fotografo di Foggia.
  • Sandro Dal Fara – Ingegnere di Napoli.
  • Donatella Pezzella – Responsabile di un reparto di elettrodomestici a Foggia.
  • Selenia Accettulli – Ostetrica di Foggia.
  • Alessandro Centra – Imprenditore di Foggia.
  • Michele Angler – Videomaker di Foggia.

 

Ognuno di noi ha trovato la sua dimensione durante questi viaggi. Potrei raccontarvi ancora innumerevoli aneddoti che ne testimoniano la forza.

È difficile trasmettere a parole ciò che abbiamo vissuto e ciò che siamo diventati come gruppo. Spero, però, di aver dato un’idea della potenza di questa esperienza. Un legame che ci ha trasformati, che ci ha insegnato il valore della condivisione e della solidarietà. Un’esperienza che ci ha segnato per sempre, e che ci spinge a continuare a portare avanti il nostro impegno in Africa con la stessa passione e lo stesso spirito di squadra con cui abbiamo iniziato.

Questa è l’Africa, la terra rossa che ci accoglie ogni volta donandoci Meraviglia!!

 

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di Marianna Addesso

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