Teggiano. “Na spèra ri sòlu”, è il titolo della nuova raccolta di poesie in vernacolo rianesu scritta dal professore Salvatore Gallo e pubblicata dalla Giuseppe De Nicola Editore a settembre 2024. Abbiamo incontrato il professore nella sua casa, immersa nella splendida cornice montuosa del vallo, per farci raccontare del suo ultimo lavoro.
Il preside poeta
Nato a Teggiano l’ 11 Marzo 1953, laureato in lettere nel 1976, docente di lettere e successivamente preside dell’ istituto comprensivo di Teggiano, il professore Gallo è sempre stato cultore dell’ arte poetica, sin da giovane. In passato ha già pubblicato due raccolte di poesie: “Luci e Ombre” e “Un sottile perdersi di pensieri nella natura”. Insignito del premio “Galdo è Poesia” per la letteratura e membro dal 2013 dell’ Accademia Pascoliana, per il recupero e l’ illustrazione dell’ opera di Giovanni Pascoli nel contesto della storia letteraria italiana, da luglio 2024 Salvatore Gallo è anche Vicepresidente della associazione per il recupero del dialetto del Vallo di Diano “Mōrē Dianense”.

Cosa è il dialetto per Salvatore Gallo?
Per me, come per tanti della mia generazione, il dialetto è la mia prima lingua: La lingua italiana l’ ho imparata a scuola. In casa, con i miei figli, ho sempre parlato in italiano, ma con i miei genitori e con gli amici ho sempre parlato solo il dialetto. Perché? Fa parte del mio vissuto, dei ricordi più belli della mia infanzia e per questo è legato indissolubilmente a me
Una domanda un po’ provocatoria: Il dialetto ha una sua dignità linguistica? Perché conservarlo?
L’ errore sta proprio in questo: Se lo consideri (il dialetto) una parlata priva di qualunque sfondo culturale, di una sua evoluzione linguistica, priva di una sua struttura morfo-sintattica indipendente da quella italiana, allora sì puoi anche buttarlo via. Ma così non è.
Il dialetto ha una sua struttura e una ed un’ espressività molto più accentuata rispetto all’ italiano. Il dialetto è molto più immediato, diretto, non gira intorno ai concetti: se ti voglio bene, “ti voglio bene!” punto. Nasce da una cultura popolare, contadina ed esso è specchio di questa cultura. Perderlo vuol dire perdere un pezzo di storia umana. Per me, la mia storia.
Questa è la sua prima pubblicazione di poesie in vernacolare. Cosa l’ ha ispirata?
Quando il mio caro amico Vincenzo Andriuolo ha pubblicato “Il dialetto romanzo di Teggiano”, e io ho avuto l’ onore di assistere alla presentazione del libro, allora è riaffiorato quell’ interesse sopito a causa dei tanti impegni. Un giorno, mentre ero in pullman di ritorno da Roma, ho abbozzato la prima poesia “La fèsta ri la màmma”. Allora era maggio, si approssimava la festa della mamma, da qui l’ ispirazione. E da lì ho iniziato a scrivere tutte quelle poesie che ho raccolto in “Na spèra ri sòlu”. E come il fanciullino di Pascoli, che è nascosto da qualche parte nell’ animo ma quando vai a toccare nel profondo riemerge più forte di prima. Questo è quello che è capitato a me. Il dialetto è stato quel raggio (spèra, ndr) di sole che ha illuminato un paesaggio notturno dal quale sono riemersi i miei giochi, gli amici, i compagni di scuola, gli amori.
Una cosa che salta subito all’ occhio è la suddivisione del libro in “capitoli tematici”, se così possiamo definirli.
In un certo senso. Diciamo che ho scelto di inserire nella raccolta citazioni tratte dalle opere di diversi autori, tra i quali Carlo Levi, Pavese e Virgilio. Lo scopo di questi è quello di fornire una chiave di lettura per comprendere meglio i concetti, che poi le poesie andranno a trattare. Estratti in prosa, utili al lettore per calarsi nell’ atmosfera e nelle emozioni che io esprimo in versi. Un incipit catartico, più che tematico. Faccio un esempio: “Il mondo dei contadini, dove non si entra senza una chiave di magia” tratto dal Cristo si è fermato ad Eboli.
Il mondo contadino con il quale Carlo Levi, all’ epoca medico, doveva interfacciarsi era un mondo dove la maggioranza delle persone era analfabeta. Vivevano di esempi, di esperienza pratica, insegnamenti tramandati di generazione in generazione, tra i quali anche credenze magiche e superstizioni. Levi dovette adattarsi a questo tipo di mentalità per istaurare un dialogo e farsi accogliere da una comunità che all’ epoca era molto scettica verso il sapere scientifico. Questa frase fa da incipit a quelle poesie nelle quali racconto scorci di vita quotidiana nella comunità contadina. E inoltre riassume perfettamente l’ idea alla base di questa suddivisione: Fornire al lettore una chiave per entrare.
Un componimento, tratto dal suo libro, che è significativo per lei.
Il componimento al quale sono più legato è “La scòla ri tàta”(la scuola/l’insegnamento di papà).
Per me è il più importante, perché da qui parte tutto: mio padre era analfabeta, non aveva potuto studiare. Quelle poche cose che riuscì a imparare da autodidatta (mettere una firma, leggere) gli servirono per quando dovette partire per il militare. Quando iniziai andare a scuola anche io, papà mi disse solo una cosa “ssi vò cangià vìta quèsta jà la vìa” (se vuoi cambiare vita questa è la strada). Se io oggi sono qui a parlare con te, posso dire di aver scritto un libro, di aver fatto quel che ho fatto come dirigente scolastico ed educatore, lo devo tutto a mio padre e al suo esempio.