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Radici comuni, India ed Ebraismo

Radici comuni, India ed Ebraismo

Questo mondo può dare l’impressione di essere tanto ben conosciuto da sembrare scontato. In realtà è fonte continua di sorprese e la storia insegnata a scuola potrebbe essere molto diversa da quella realmente svoltasi nel tempo. Prendiamo il caso dell’India Vedica, civiltà che fiorì a partire dal settimo millennio avanti Cristo e la civiltà ebraica che è datata a circa 3.500 anni fa. Cosa avranno da condividere civiltà che si sono sviluppate in epoche e luoghi tanto lontani quanto diversi? Apparentemente nulla, sebbene gli studiosi di archeologia e di semiotica osservino come gli stessi simboli vengano adoperati per descrivere i medesimi concetti in diverse epoche e diverse zone geografiche, anche in India ed in Palestina. Sembra di vedere un fiume sotterraneo che congiunge le diverse civiltà nel tempo e nello spazio e che trasferisce conoscenze e credenze.
Prendiamo il caso di quella che viene chiamata la stella a sei punte o stella di Davide, il simbolo stesso di Israele. Lo stesso veniva usato in India molto tempo prima che il popolo ebraico venisse fuori dalla Mesopotamia, per descrivere Anahata, ossia il chakra del cuore.

Connessioni tra cultura vedica ed ebraismo

In effetti strane connessioni appaiono tra la cultura vedica e la parte interna dell’ebraismo, ossia la Kabbalah. Una parte degli storici e degli uomini religiosi negano ogni possibile connessione tra i due mondi ed, anzi, la ritengono piuttosto inquietante. Soprattutto gli ebrei tendono ad essere scettici a riguardo anche perché una eventuale connessione con l’India indoeuropea potrebbe minare il loro “dogma” del “popolo eletto”. Se altri popoli sono stati depositari della Rivelazione Divina, ovvio che il ruolo ebraico ne risulti sminuito.

Evidenze storiche

Vediamo se esistono testimonianze qualificate ed antiche che riguardano questa tesi controversa. Il documento principale che riguarda la storia giudaica, senza implicazioni religiose e mitiche é “La Storia degli Ebrei” dell’erudito e teologo ebreo Flavio Giuseppe (37 – 100 d.C.). In essa vi è riportato che il filosofo greco Aristotele aveva detto: “… Questi ebrei sono derivati dai filosofi indiani; sono chiamati dagli indiani Calani” (Libro I, 22). Ma non è l’unico autore antico a sostenere questa tesi. Clearco di Soli fu un filosofo greco del quarto secolo avanti Cristo, che ebbe modo di viaggiare in Afganistan ed in India. In un suo scritto possiamo leggere: “gli Ebrei discendono dai filosofi dell’India. In India i filosofi sono chiamati Calaniani e in Siria sono detti Ebrei. Il nome della loro capitale è molto difficile da pronunciare. Si chiama Gerusalemme”. Un altro autore greco, Megastene, riporta la medesima notizia.

Il bello é che Megastene, probabilmente, originario della Ionia, fu un importante diplomatico ellenistico.  Tra il 302 ed il 291 avanti Cristo fu inviato in India come ambasciatore di Seleuco Nicator presso la corte a Pataliputra del re indiano Sandrokottos, nome con cui i greci chiamavano il fondatore dell’Impero Maurya Chandragupta. Egli scrisse “Notizie dell’India” in quattro volumi. Tale opera è arrivata in larga parte fino a noi. Anche se Megastene non è stato preso molto sul serio dalla storiografia contemporanea, i suoi racconti stanno trovando ogni giorno nuove conferme da nuove ricerche. Egli racconta che gli Ebrei “erano una tribù o setta indiana, chiamata Kalani…” (Godfrey Higgins, Anacalypsis, vol. I, p. 400).
Contrariamente alle linee di pensiero attuali, è da notare come gli studiosi di archeologia e di storia delle religioni del settecento ed ottocento, in più riprese, si siano fatti affascinare da questa ipotesi. Ad esempio Martin Haug, celebre orientalista tedesco dell’ottocento, nell’opera in “The Sacred Language, Writings, and Religions of the Parsis” scrisse: “si dice che i Magi chiamassero la loro religione Kesh–î–Ibrahim. Essi attribuivano i loro libri religiosi ad Abramo, che si diceva li avesse portati dal cielo” (p. 16).
Proprio la figura di Abramo appare esiziale per condurre alcune interessanti, e neppure troppo azzardate, ipotesi. Sappiamo che Abramo, cui la leggenda attribuisce il primo libro che tratta di Kabbalah, il “Sepher Yetzirah” è il capostipite del popolo ebraico, ma egli certo non poteva definirsi ebreo. Le fonti storiche lo presentano come un caldeo proveniente da UR. Voltaire era dell’opinione che Abramo fosse il discendente di qualcuno dei numerosi sacerdoti Brahmani che avevano lasciato l’India per diffondere i loro insegnamenti nel mondo intero. A sostegno della sua tesi ricorda che la città di Ur, terra dei patriarchi, era vicino al confine della Persia, lungo la strada verso l’India, in cui Abramo era nato. Godfrey Higgins, celebre studioso di storia delle religioni vissuto a cavallo tra 1700 e 1800, sosteneva che “Caldeo”, più correttamente Kaul–Deva (santo Kaul), non era il nome di un’appartenenza etnica specifica, ma il titolo di un’antica casta sacerdotale indù di Bramani, che viveva nella zona ora compresa tra l’Afghanistan, il Pakistan e lo stato indiano del Kashmir. Analizziamo insieme alcuni passi significativi del suo capolavoro “Anacalypsis.
“La tribù di Ioud o del Brahmino Abramo fu espulsa o lasciò il Maturea del regno di Oude in India e, stabilendosi a Goshen, o la casa del Sole o Heliopolis nell’Egitto, diede a quella località il nome del posto che aveva lasciato in India, Maturea”. (Anacalypsis, vol. I, p. 405).
“Egli era della religione o della setta della Persia e di Melchizedek”. (Ibidem, Vol. I, p. 364).
“I Persiani inoltre pretendono che Ibrahim, cioè Abraham, fosse il loro fondatore, così come gli Ebrei. Così vediamo che secondo tutta la storia antica i Persiani, gli Ebrei e gli Arabi sono discendenti di Abramo. (p. 85) dicono che Terah, il padre di Abramo, fosse venuto in origine da un paese dell’Est chiamato Ur, dei Caldei o dei Culdei, per abitare in una regione denominata Mesopotamia. Qualche tempo dopo che abitava là, Abraham, o Abramo, o Brahma e sua moglie Sara o Sarai, o Sara–iswati, lasciarono la famiglia del loro padre ed entrarono in Canaan. L’identificazione d’Abramo e di Sara con Brahma e Saraiswati in primo luogo è stata precisata dai missionari Gesuiti”. (Ibidem, Vol. I, p. 387).
In effetti il richiamo del nome Abramo con il sanscrito Ab Brahma (Padre Brahma) e quello di sua moglie Sara con la moglie di Brahma Saraswati non dovrebbero essere una coincidenza. Le anomalie non terminano qui. In India, un affluente del fiume Saraisvati è Ghaggar. Un altro affluente dello stesso fiume si chiama Hakra. Secondo le tradizioni ebree, Hagar era la serva di Sara; i musulmani dicono che era una principessa egiziana. Si notino le somiglianze di Ghaggar, Hakra e Hagar. La Bibbia afferma anche che Ishmael, il figlio di Hagar, ed i suoi discendenti vissero in India.
“… Ishmael trasse il suo ultimo respiro e morì e si riunì alle sue parentele… Abitarono a Havilah (India), a Shur, che è vicino all’Egitto, e lungo tutta la strada che porta ad Asshur”. (Genesi, 25,17–18).
È un fatto interessante che i nomi d’Isacco e d’Ismaele derivino dal Sanscrito: (Ebreo) Ishaak = Ishakhu (Sanscrito) = “amico di Shiva”. (Ebreo) Ishmael = Ish–Mahal (Sanscrito) = “grande Shiva”.
Questo da un punto di vista storico.

Evidenze storiche

La tesi sarebbe del tutto inattendibile se, però, non vi fossero anche dei punti di contatto tra le dottrine vediche e quelle cabaliste. Se entriamo nel dettaglio, notiamo che la Kabbalah rappresenta le leggi divine e la creazione del mondo usando 10 punti energetici che chiamano Sephirot. L’India vedica fa lo stesso con i Chakras. Invero i chakras sono sette ma tre di loro si aprono in due, maschile e femminile, riportando il numero 10. Anche se i chakras descrivono meglio il “microcosmo” uomo e le sephirot l’universo, è innegabile una analogia tra di essi. Di più, se i cabalisti parlano del loro sistema di rappresentare il mondo come l'”Albero della Vita”, in cui gli effetti sono visibili in Questo Mondo e le cause sono da ricercare nei quattro mondi superiori, gli indù parlano di “Albero di Asvattha”, ossia l’albero le cui foglie sono in basso e le radici in alto, nei mondi astrali e causali. La Bhagavad Gita, l’antichissimo Vangelo indu’, che raccoglie l’insegnamento di Krishna, un personaggio vissuto 5.000 anni fa, riporta il concetto di “karman yoga”. Secondo esso bisogna agire con la massima diligenza ed accuratezza, abbandonando nelle mani di Dio il risultato delle azioni in modo da non subirne le conseguenze.

L’azione disinteressata

Questo concetto trova un’identità assoluta nel concetto cabalistico di “azione disinteressata” o “ashpaa”. I richiami alla dottrina vedica non finiscono qui. I cabalisti usano il termine “zivug” per indicare l’unione spirituale con il Creatore. Lo stesso concetto è tradotto in India con “samadhi”, ossia estasi. Al contrario della dottrina ebraica essoterica, ossia la forma esteriore della dottrina ebraica praticata dal popolo, i cabalisti credono nel ciclo di nascite e di morti, ossia il “samsara”, la reincarnazione. Ancora, se gli ebrei sono soliti pregare usando i salmi, nell’India Vedica pregano utilizzando gli inni dei Rig Veda, alcuni dei quali assomigliano molto ai Salmi ebraici. In Kabbalah la Realtà scaturisca da una condizione senza limiti, infinita, in cui tutti gli enti sono uniti tra di loro e con Dio. Questa condizione viene chiamata “ein sof”. Lo stesso concetto l’India vedica lo esprime con la parola “Brahman”. Per gli indù cibarsi di carni è immondo ed è riservato alla caste basse. Anche tra gli ebrei è esistita una setta che riteneva immorale il cibarsi di carni: gli esseni con cui Gesù venne sicuramente a contatto sia per rapporti familiari, sia per essersi fatto battezzare da Giovanni, suo parente ed esseno. La dottrina essena ha ancora ulteriori punti di contatto con l’induismo. Troppe coincidenze per non lasciar pensare ad una connessione tra India ed ebraismo.

Ipotesi e tesi

Lasciando agli storici, agli studiosi delle religioni e dell’antropologia culturale ulteriori sviluppi di questa interessante teoria, non posso non segnalare che esiste un libro, davvero molto interessante, che racconta la storia di questi insospettati e profondi quando sconosciuti contatti tra le religioni e tra i popoli. Il libro è “I grandi iniziati” di Eduard Schurè. La tesi ivi contenuta è che la Rivelazione Divina nacque in India; che essa è stata progressiva e che Yoshua, il nostro Cristo, è stato il punto più elevato di tale Rivelazione mostrando al mondo il volto del Padre, fatto di amore e misericordia. Se questa tesi è vera, dobbiamo comprendere che abbiamo tutti lo stesso Padre, che non esistono “Terre Promesse” e “Popoli Eletti”  e che l’unico modo per uscire fuori da quest’epoca di guerre e di massacri è sostenerci uno con l’altro. Appunto la fratellanza, come recentemente ha ricordato anche Papa Francesco.

 

Radici comuni, India ed Ebraismo

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di Giuseppe Trivisone

Giuseppe Trivisone

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