Separazione delle carriere, una riforma per il controllo politico della giustizia
di Guerino Iannicelli *
La riforma che separa la carriera dei pubblici ministeri da quella dei giudici ha uno scopo dichiarato e uno scopo reale. Il primo serve a nascondere il secondo.
Lo scopo dichiarato, ripetuto come uno slogan, sarebbe quello di rafforzare l’indipendenza dei giudici penali. Si vuol far credere (senza il coraggio di dirlo esplicitamente) che il giudice è o può essere condizionato nella sua decisione dal fatto che chi chiede la condanna dell’imputato (il pubblico ministero) è un suo collega, perché appartiene al suo stesso ordine giudiziario.
Che ciò sia falso lo dimostrano le statistiche, dato che la metà dei processi penali si conclude con l’assoluzione.
Poiché il processo penale vero e proprio (il dibattimento) ha luogo solo su impulso del pubblico ministero, una così elevata percentuale di assoluzioni dimostra che l’unicità della carriera non ha alcuna influenza sull’indipendenza dei giudici.
Come del resto qualsiasi avvocato che frequenta le aule giudiziarie può confermare. Senza tacere del fatto che, come è noto a tutti, i giudici di appello decidono se confermare o riformare sentenze di loro colleghi e, addirittura, in alcuni procedimenti civili un collegio formato da tre giudici decide in sede di reclamo se confermare o riformare il provvedimento monocratico del loro collega di stanza. Eppure, nessuno ha mai messo in dubbio l’indipendenza dei giudici dell’ impugnazione e nessuno ha mai pensato di separare le loro carriere.
L’indipendenza del giudice é solo lo specchietto per le allodole. Serve a nascondere il vero scopo della riforma, che é quello di avviare un percorso che porterà al controllo politico dell’azione penale.
Il primo passo è staccare i pubblici ministeri dall’ordine al quale appartengono i giudici (necessario, perché sarebbe impensabile sottoporre anche i giudici al controllo politico). Poi si dirà (qualcuno già lo dice) che i pubblici ministeri non possono fare bene il loro lavoro perché hanno troppi procedimenti da seguire a causa dell’ obbligatorietà dell’azione penale. Quindi altra riforma costituzionale per abolire l’obbligatorietà.
Quando l’azione penale sarà facoltativa si dirà che la scelta di quali reati perseguire non può essere lasciata al pubblico ministero, ma deve essere una scelta politica del Parlamento, a cui spetterà stabilire ogni anno quali sono i reati da perseguire. Oppure all’organo di autogoverno ( un CSM dei magistrati inquirenti) a forte presenza di componenti laici ( di nomina ed estrazione politica).
La riforma, oltre che pericolosa per gli scenari che può aprire, è anche dannosa perché altera gli equilibri su cui reggono le nomine ai vertici delle Procure.
Crea un nuovo ordine giudiziario (quello dei pubblici ministeri) governato da un CSM dei magistrati requirenti del quale fanno parte membri togati formati solo da pubblici ministeri. Cioè le nomine dei capi delle Procure e le carriere dei pubblici ministeri saranno decise solo dagli stessi pubblici ministeri e dai membri laici (politici), mentre oggi sono decise anche dai membri del CSM che svolgono funzioni giudicanti.
Un sistema che, escludendo i togati giudicanti, presta il fianco ad ingerenze politiche nelle nomine. Altro che tutela dell’indipendenza dei magistrati !!
Così si stravolge l’assetto costituzionale della giurisdizione penale.
Una riforma, in definitiva, improntata solo a logiche di potere. Lontana anni luce dai veri problemi della giustizia, civile e penale, che sono la durata eccessiva dei processi in alcune sedi giudiziarie e le carenze del sistema di valutazione dei magistrati, il quale non consente di premiare o penalizzare i magistrati in base alla quantità e qualità del lavoro svolto.
Ai cittadini interessa che il processo sia breve e che la decisione sia giusta e ben motivata.
Ma non sono gli interessi dei cittadini ad ispirare la riforma.
*Magistrato
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