di Gerardo Iuliano
Uno dei miei migliori professori, al liceo, era quello di Storia dell’Arte.
Era un grande professore; di origini irpine, ma aveva vissuto e studiato a Roma, e scivolava spesso sul dialetto romanesco.
La Storia dell’Arte, anche allora, se la filavano in pochi, ma il prof la sapeva spiegare proprio bene, almeno per chi seguiva, e ti faceva collegamenti e intersezioni con letteratura e filosofia. Anche quando era costretto a incazzarsi con gli alunni che non lo pensavano. E poi cantava. A Roma aveva cantato in coro sin da piccolo, aveva cantato pure alla Cappella Paolina (col che potremmo anche immaginare qualcosa sulle sue esperienze e sul seguito del discorso).
Era un grande professore, irpino, e cattolico. Non era sposato. Abitava nel centro storico, e frequentava un gruppo di artisti, alcuni anche piuttosto noti, e molto bravi, come lui. Era un grande professore, irpino, cattolico, e omosessuale. Ma non se la menava. Quest’ultimo attributo veniva solo sussurrato a mezza voce. D’altra parte, si sussurravano solo a mezza voce anche diversi flirt e rapporti, eterossessuali, attribuiti, a ragione o a torto, ad altri professori, e genericamente catalogati sotto la voce di “corna”. Ci vogliamo scandalizzare? C’era stato il sessantotto.
Proprio il nostro prof, raccontava la morale della barzelletta sull’uccellino che strillava disperatamente dopo essere caduto dall’albero giù nella cacca: “Quanno ce l’hai fino ar collo, almeno statte zitto”.
E comunque, quando, diversi anni dopo, alcuni politici volevano interdire l’insegnamento agli omosessuali, e mia madre mi chiese se non pensavo che avessero ragione, mi bastò ricordarle il suo vecchio collega. Mamma scosse la testa: “Hai ragione!”
Col senno, e gli studi di poi, voglio dire: nessun problema se l’affettività è omo o etero diretta. E nemmeno sui diritti, non diciamo del matrimonio, ma del gruppo familiare. Anzi.
Il matrimonio, per il cattolico, è il sacramento che sancisce l’unione tra due persone, ma la famiglia, se la pensiamo come “cellula” della società, è un gruppo che va oltre la coppia.
E la sua stabilità va difesa a tutti i costi, a maggior ragione se non c’è un matrimonio, o una coppia, che la sostiene alla base.
Una volta, chi inneggiava al libero amore, diceva che il matrimonio era un’istituzione superata. Si potrebbe pure essere d’accordo. Ma ora? Ora vogliono sposarsi. Meglio, vogliono una famiglia.
E a pensarci, torto non hanno; i diritti, del nucleo familiare, dovrebbero essere sacrosanti; unica garanzia che una comunità civile dovrebbe richiedere, non è una fantomatica indissolubilità, ma almeno un minimo di stabilità, se non altro per i minori.
Noi cattolici dovremmo ancora morderci le mani per avere affossato il progetto dei DICO di Rosy Bindi, allora ministro della famiglia, invece di gridare allo scandalo e alla persecuzione. La famiglia è un gruppo, fondato sul matrimonio, ma, purtroppo, non sempre e non necessariamente: non esiste solo l’omosessualità, rispetto a tutti gli altri spezzoni di famiglie, orfane, o separate, o mantenute da nonni o da zii, famiglie di fatto per forza, in cui un matrimonio, o anche una coppia stabile, sarebbe una benedizione. Ma abbiamo ancora in mezzo troppi fondamentalisti, intolleranti, intransigenti che sbandierando rosari e immaginette fanno solo il gioco dei poteri forti: non i valori cristiani della difesa della vita, ma la pseudocultura consumistica della rimozione della morte. Omnia munda mundis… Non chi dice Signore Signore… E fin qui va bene.
Ma, con tutte le battaglie che si fanno sulla privacy e sul “politically correct”, a proposito, e anche a sproposito, proprio sulla sessualità deve dominare l’esibizione?
Pare che la prima cosa che si faccia è mostrare, fra televisione, pubblicità e social, il proprio status di stalloni cafoni, o maschi alfa, aspiranti vamp o bonazze caserecce, e anche di omosessuali e lesbiche.
Una volta si chiamavano rapporti intimi. Ed erano prevalentemente eterosessuali.
Prevalentemente: l’omosessualità, e anche il transessualismo, ce li siamo sempre portati dietro.
A Napoli l’omosessuale si chiamava “ricchione” e il transessuale “femminiello”: soprattutto questi ultimi erano conosciuti da tutti, e spesso anche molto benvoluti. Ma non si esibivano.
Quello che se ne va a farsi benedire, è proprio quel che una volta si chiamava “intimità”.
E naturalmente, dietro ad esposizioni e pubblicità, c’è un vantaggio, un guadagno.
Cui prodest? Quanto c’è di interesse lobbistico e commerciale dietro tutto ciò? E che tipo di lobby possiamo immaginare? Un abbozzo di risposta ce lo diede un monsignore dell’ex Sant’Uffizio, mons. Charamska, il quale, nel 2015, proprio a ridosso del sinodo vaticano per la famiglia, che prometteva aperture rivoluzionarie, fece “outing” dichiarando la sua omosessualità e addirittura una devozione non sappiamo quanto sincera per il Papa (a me ricordò il bacio di Giuda), col risultato di bloccare pressoché tutte le aperture che si aspettavano dal sinodo.
La stessa cosiddetta fantomatica “dottrina gender” secondo la quale le associazioni omosessuali si starebbero facendo strada imponendosi a politica e governi (in realtà “gender”, l’italiano “genere”, è solo un termine tecnico che esprime l’idea del sesso “psicologico”, oltre il sesso genotipico e quello fenotipico), viene fatta risalire proprio a gruppi cristiani fondamentalisti. Una rapida ricerca in rete conferma questa idea. E’ un po’ come successe al nazismo con il “Protocollo dei Savi di Sion” che attribuiva agli ebrei pretese egemoniche mondiali. Per la verità sembra pure che, nel passato, tentativi di teorizzazione di parte omosessuale non avrebbero attecchito gran che.
Ma, in un modo o nell’altro, a chi serve tutta questa sovraesposizione mediatica del sesso, pardon, genere? Dopo avere assistito alla caduta dei socialismi, all’egemonia del capitalismo multinazionale, con l’appropriazione e l’utilizzo a proprio vantaggio delle ideologie (come lo stesso femminismo), per allargare il mercato del lavoro, alla ripresa dello sfruttamento, al declassamento della scuola da educazione critica a puro e semplice apprendimento professionale, al precariato tornato alla ribalta, non è difficile pensare che, a gruppi di pensiero, e di potere, possa fare comodo che il gruppo base dell’aggregazione sociale, la famiglia, sia emarginato, e che la persona umana sia ridotta a singola unità, in preda a tutti gli slogan propagandistici e pubblicitari, e a disposizione per essere utilizzata (leggi: sfruttata) in qualsiasi momento e a qualsiasi prezzo.
E in particolare, pensando in particolare alla Chiesa cattolica, si arguisce facilmente che, tra i chierici, buona parte della componente omosessuale (in bene, ma anche in male, vedi: pedofilia), sia nascosta tra i gruppi e le associazioni di cui sopra, nelle lobby più fondamentaliste e reazionarie.
I preti “progressisti” non ne avrebbero bisogno; una volta erano operai, ora preti di strada; al limite, si spretano, si sposano, fanno “outing”. Ma non hanno bisogno di nascondersi.
E’ di quelli che si nascondono che bisogna diffidare.
Anche il Papa, quando oggi parla chiaro di “frociaggine”, chi ha orecchie per intendere capisce che non si riferisce al singolo, ma alle lobby. D’altra parte, finché castità e celibato sono norma, se in seminario non possono essere ammessi gli sposati, perché dovrebbero entrare gli omosessuali? Già da tempo, d’altronde, aveva fatto presente che “Il problema non sono gli omosessuali, sono le lobby”.
E che si può fare allora per conservare, omo o etero, e senza censure, divieti o tabù, un minimo senso del pudore, che avrebbe oltretutto anche indubbi vantaggi sull’aumento del desiderio?
Io ogni tanto mi ricordo ancora la barzelletta del professore.
Oggi si parla e si guarda tanto. Si suona troppo la grancassa (e forse poco la tromba, scusate, ma quando ci vuole ci vuole). Non bastano media, porno e influencer: ci si mette pure la televisione, che, mentre stai a tavola, sbatte a tutto il mondo qualcuno che si scusa: deve andare in bagno perché ha “un fastidioso prurito intimo…”.
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