Quando i figli vanno via. Il mesto autunno cilentano
Quante famiglie si svuoteranno dei loro affetti in questi giorni?
Che tristezza le domeniche di partenza.
Il rito dei bagagli, pieni di ogni cosa che possa dare conforto, quasi ad alleviare la lontananza.
Gia’ da giorni è cominciato il “countdown” e, più si avvicina quella data, più gli umori si fanno amari.
La partenza di un figlio, per lavoro o per motivi di studio, rappresenta sempre un distacco doloroso.
Si compie una sorta di abbandono del nido dove si è nati e cresciuti per realizzare i propri sogni e costruire un futuro di indipendenza.
I genitori percepiscono la perdita di quel ruolo protettivo che ha accompagnato la loro vita fin dalla nascita dei loro figli.
Vorrebbero prolungare questo compito, ricoprendoli di attenzioni e di raccomandazioni.
Ma il destino è ormai segnato.
Più che il distacco, è la lontananza che pesa. Mille e più chilometri sono una distanza non colmabile in tempi brevi e prelude ad una lunga attesa per il ritorno o per una visita.
Questa volta è il primo giorno di autunno a sancire la partenza, oltre a dirci che l’estate è finita, rendendo ancora più mesta la giornata.
Il treno è in anticipo, la stazione è piena di viaggiatori.
Quante famiglie si svuoteranno dei loro affetti in questi giorni?
Napoli, Roma, Firenze, Bologna, Milano, Torino…
La nostra migliore gioventù ha scelto in prevalenza queste città per iniziare un percorso universitario.
Quanti torneranno?
Probabilmente saranno in pochi.
Perchè il nostro essere una periferia è una condizione non solo geografica, quanto pure economica, condannandoci ad assistere impotenti all’aumento del divario di opportunità e di sviluppo per i nostri territori.
L’emozione di questi momenti è resa ancora più amara dalla consapevolezza che non si tratta di un arrivederci, ma di un probabile addio, rendendo definitiva la nostra condanna di genitori destinati alla solitudine.
Forse siamo l’ultima generazione ad aver avuto il privilegio di vivere negli stessi luoghi di nascita dei nostri avi, potendo scegliere se restare o partire, aspetto che non riguarderà i nostri figli.
Che ne sarà di questo posto senza un ricambio generazionale?
Vengono in mente tutte le balle ascoltate negli ultimi 30 anni, con la distruzione del ruolo dello Stato nell’economia, le privatizzazioni, la cessione di sovranità all’Europa ed alle Regioni. Politici ed economisti di tutte le aree politiche hanno rotto quel patto di solidarietà tra ceti e tra le diverse aree geografiche. L’ultima occasione per correggere questa rotta poteva essere il PNRR, se solo la politica avesse saputo scrivere una vera agenda economica. Troppo tardi per una classe dirigente abituata a vivere alla giornata, inseguendo facili slogan, interessi di bassa bottega e gossip pruriginoso.
Mentre il capotreno fischia la partenza del Frecciarossa, si chiudono simultaneamente le porte del treno, con quel caratteristico rumore elettrico.
Sembra così calare il sipario sulla scena.
Un ultimo saluto, attraverso un maledetto finestrino oscurato che sembra voler nascondere con malvagità i passeggeri dagli occhi degli accompagnatori ed il convoglio rosso lascia la stazione di Vallo Scalo.
Adesso le banchine sono deserte.
La Piana dell’Alento è più verde del solito ed uno stormo di colombi bianchi si alza in volo da una bella casa colonica diroccata.
Quasi una metafora di quelli che lasciano questa terra, così affascinante e tormentata, ma senza certezze e con poche speranze.
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