Cilento – L’ Ammaccata di Cristian Santomauro apre col botto
A venti giorni dall’inaugurazione impossibile trovare posto se si intende prenotare il giorno per la sera.
L’ Ammaccata piace perché è leggera e digeribile, profuma di passato, di ieri, di vita contadina, sempre uguale nel tempo.
Ottimi gli ingredienti, scientifica la ricerca enogastronomica.
Chef Santomauro è ingegnere.
Conservate un po’ di spazio per i dolci, vi lasceranno senza parole.
I prezzi sono modici se si considera la qualità del prodotto.
Provare per crederci e segnatevi il nome. Presto entrerà nell’Olimpo.
Chef Santomauro è un giovane sorridente, luminoso.
“Solo Cristian”.
Ha riscoperto l’ammaccata, un po’ pizza e un po’ pane
Il bello é che la ricetta è quella della nonna Teresa e oggi, insieme a Valerio D’Alterio, ha fondato l’Ammaccata in un’antica costruzione in via Quattroponti di Casal Velino.
“Valorizzo le nostre origini mediterranee e contadine. Poco distante da qui, a Velia, c’è stato il primo insediamento greco”.
E’ cilentano di Piano Vetrale “il paese di Paolo de Matteis -osserva orgoglioso – autorevole esponente della stagione barocca”.
“Ho un’infarinatura di chimica – dice scherzando – la laurea in ingegneria prevede anche studi di chimica e di biologia, che mi sono tornati utili per la panificazione”.
Ha voluto recuperato l’antica tradizione della pizza cilentana, l’ammaccata.
L’intuizione arriva ad una festa in paese.
“Capii che non era il caso di valorizzare la pizza che non è nostra. Abbiamo la pizza cilentana, mia nonna la chiamava l’Ammaccata”.
Si illumina quando ricorda la nonna Teresa: “Mia nonna era famosa in paese per l’Ammaccata. Aveva un forno di passaggio e quando faceva il pane le persone sentivano il profumo e si fermavano”.
“Sono partito da lì, poi ho girato per i paesi del Cilento, sono stato nelle case delle signore per vedere cosa facevano. Ho scritto quello che mi dicevano e ho redatto il P.A.T., il Prodotto Agroalimentare Tradizionale.
L’ho presentato in Regione Campania e ho avuto il riconoscimento”.
Un riconoscimento utile.
“Il P.A.T. mi ha consentito di lavorare come lavorava la mia nonna. Ho potuto utilizzare i contenitori di legno e la pala di legno”.
“E’ a metà tra pane e pizza. Un miscuglio di grano duro e grano tenero. Il progetto si basa sul recupero e sulla valorizzazione dei grani tradizionali come il Carosella, il Saragolla, il Gentil Rosso, la Biancolilla, ma uso anche un po’ farro, il primo cereale coltivato dall’uomo”.
L’impasto è fatto a mano con poco sale e lievito madre.
“Si impasta la mattina per la sera come si faceva per il pane. Poi si fanno le panellucce e si mettono nei contenitori di legno”.
“La panelluccia si deve schiacciare sulla pala una alla volta, non si può stendere con lo schiaffo né si può tirare come le pizze perché non ha elasticità.
L’impasto è molto molto delicato. Questa è una criticità perché quando sei a contatto con i clienti è complicato lavorare il prodotto. E poi si condisce sulla pala”.
“Il recupero dei grani antichi era già stato fatto dalla cooperativa Terre di Resilienza di Caselle in Pittari, da Gigliola Cammarota e da La spigolatrice di Sapri di Torre Orsaia”.
“C’è l’Ammaccata originale con il pomodoro cotto, l’origano, il cacio ricotta.
Il pomodoro è il quarantino, pomodoro tondo che cresceva nelle vigne.
Abbiamo recuperato i semi, infatti qui davanti (indica gli orti attigui) è tutto coltivato a quarantino”.
“Si, anche le verdure e l’olio. Abbiamo tre ettari di oliveto. Facciamo un po’ di cose, anche il grano, non tutta la quantità che serve. Ma li prendiamo da persone che ragionano come me”.
Per esempio da Michele Ferrante
“Michele Ferrante è uno dei pochi contadini reali in Cilento”.
“Perché è una persona con cui trovo delle affinità di idee, di pensieri.
Cerca, pur nella complessità di questo mondo, di mantenere la sua autenticità anche con grandi difficoltà.
Ha avuto dedicata un’immagine a Times Square “Michele Ferrante contadino in Controne”.
“Certo, i fagioli e le polveri. Gli sono legato perché é nato prima di me, conosce il mio mondo e mi consiglia”.
“Ha una base bianca, a fine cottura aggiungo il fagiolo di Controne bianco, il tonno alalunga di Palinuro, un pomodoro secco che fa lui e una polvere di lattuga di mare che è un’alga.
Poi la bottarga di tonno che fa Donatella Marino. Ci sono tanti contrasti”.
“Si, ma non le ho ancora presentate. Ho voluto mantenere per qualche settimana la dedica a Michele Ferrante che sarà sempre a menu”.
Per ogni Ammaccata c’è un olio diverso, da Antonino Mennella a Marsicani, a Marco Rizzo, a Massimo Brosio”.
Il luogo è suggestivo, nelle campagne di Casal Velino. Alle spalle il Cilento interno, poco distante il mare.
Per sei anni ha avuto un’altra struttura, per un anno mezzo ha diretto Il Castello di Rocca Cilento insieme all’attuale socio Valerio Alterio.
Territorio, persone, anima della vicina Elea, antica colonia greca, terra di Parmenide.
“La prima parte con una macchina che non riscalda l’impasto, non è a spirale, non è a braccio tuffante.
Poi lo finisco a mano nella madia. Lo lascio lievitare e lo copro con un canovaccio umido. L’impasto va controllato ora per ora”.
“Dalle 8 di mattina alle due di notte. Non è un lavoro fisico continuo, ma mentale e di gestione”.
“Non è una moda, per me non esiste il tavolo. Esistono le persone. L’Ammaccata l’ho fatta per quindici anni, la voce gira, la gente viene”
“A sedici anni ( oggi ne trentatré). Non avevo internet a casa, creai una prima pagina web della pizza cilentana. Mi chiusi in bagno perché solo lì prendeva internet del vicino.
Ho fatto la prima pagina e piano piano è nato il progetto”.
“Si. Sono partito da piccoli eventi promozionali di paese, senza scopo di lucro”.
“Che ero pazzo, lo stesso dicevano gli altri pizzaioli. Adesso tutti fanno la pizza cilentana. Poi ho fatto eventi con chef internazionali. C’era Massimo Bottura, Gennaro Esposito.
Ho conosciuto Alain Ducasse.
Ci andrai?
“Vediamo. Ora qui stiamo lavorando”.
“Questa sede mi valorizza, é un vecchio fabbricato rurale a cui facevano riferimento vari coloni”.
“Mi ha dato un metodo. Ho capito che bisogna essere perseveranti e positivi”.
“Sì, ci sono quasi. Pensavo che ci sarei risuscito e pensavo anche che la gente non capisse quello che dicevo. Adesso cominciano a capirmi”.
“Penso alle cose che faceva mia nonna, alla convivialità intorno al forno. Ricordo le emozioni delle persone che la mangiavano. Si emozionavano tanto. Vedendoli ho capito che questa era la mia strada.
Voglio emozionare le persone e portare, attraverso le emozioni, economie al territorio”.
“Ho abbandonato il perfezionismo, so che non posso controllare tutto. Se sei troppo preciso non puoi collaborare con gli altri. Ho capito, invece, che bisogna lasciare libertà agli altri”.
“Emozioni e semplicità”
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