L'editoriale

Il mio ricordo di Giuseppe Acone

Il mio ricordo di Giuseppe Acone

A sei anni dalla dolorosa scomparsa del professore Giuseppe Acone sento il dovere di elaborare un lutto e superare un trauma.

Ma il dovere mal si concilia con le vicende più intime della nostra esistenza.

E allora posso solo provarci.

In poco tempo il giornale “I fatti”, che ho fondato e diretto per dieci anni, perse due punti di riferimento.

L’editore, la mia cara mamma, ad agosto 2017.

Meno di un anno dopo, a maggio 2018  il professore Giuseppe Acone, intellettuale raffinato, professore emerito di Pedagogia generale e già preside della facoltà di Scienze della formazione all’Università degli Studi di Salerno, autorevolissima firma della testata.

Che cosa avevamo costruito insieme? 

Un gruppo di lavoro, un gruppo di studio sui fenomeni socio-politici del nostro tempo.

Un gruppo di persone che si stimava.

La riunione mensile di redazione serviva a programmare il nuovo numero.

Ognuno si attribuiva un compito, un pezzo.

Ci confrontavamo a lungo sui temi della giustizia, dell’etica, dell’educazione portando in redazione i vissuti di ognuno, i pensieri nati al lavoro, in famiglia e nel tempo libero.

Giuseppe Acone era il nostro faro, illuminava con le sue argute riflessioni gli angoli più remoti di ogni analisi. 

Venivamo tutti dal mondo delle professioni, c’era l’avvocato, il commercialista, il professore, l’assistente sociale, lo studente universitario, il medico, il parlamentare europeo.

Quella redazione era un formidabile laboratorio di idee, un’officia del pensiero libero.

Dopo le riflessioni si stava insieme con gioia.

Un aperitivo, una pizza, una cena ci restituivano allegria, serenità.

Eravamo felici di stare insieme.

In quelle riunioni nasceva ogni mese e per dieci anni “I fatti”, il giornale di carta stampato in tremila copie al mese che girava nelle edicole e nelle case di tanti appassionati lettori.

E le nostre idee giravano in esso.

Sei anni dopo la prematura e dolorosa scomparsa del professore Giuseppe Acone sento il dovere di ricordarlo a voi, lettori de Il bello.

Come può un’ allieva raccontare un maestro?

Nel legame docente discente c’è sempre qualcosa che rimanda al rapporto padre figlio.

Il professore l’avevo conosciuto quando fondò l’associazione “Campagna, progetto cultura”.

Quota associativa ventimila lire al mese, “poco – pensai allora –se associandomi potrò ascoltare il professore Acone e partecipare al suo progetto di rinascita della città di Campagna”.

I cittadini campagnesi hanno un attaccamento viscerale al proprio borgo.

Perché Campagna è davvero bella e, anche se girano il mondo, poi tornano sempre e restano.

Prima di allora lo avevo conosciuto studiandone i testi, l’idea dell’educazione che salva, che guida, che indirizza. E i limiti del progetto educativo. 

Ero contenta di Campagna Progetto Cultura,  lo feci mio.

Cominciai a intervistare il professore Acone per La Città, per Agire le testate alle quali collaboravo.

Il patrimonio di un giornalista di provincia consiste nelle relazioni, nelle sincere amicizie.

Il professore Acone divenne mio sincero amico.

Una volta mi corresse un grave errore: padeia, l’avevo scritto senza la i. 

Mi vergognai.

Abitava a Eboli, in via Guido D’Orso, al primo piano. Mi dava appuntamento nel tardo pomeriggio, nel sua salone pieno di libri.

Mi tremavano le gambe quando mi avvicinavo al citofono, ma ci andavo con gioia. 

Imparai che andare dal professore significava andare a lezione.

“Leggo La Stampa perché me l’hanno consigliato alla scuola di giornalismo e “Il Mattino” per conoscere la cronaca regionale”.

Ma il professore leggeva Il Corriere della Sera. “Tesoro, devi leggere Il Corriere”. Abbandonai La Stampa.

Giuseppe Acone* aveva diretto riviste scientifiche di pregio. Mi fu vicino quando fondai “I Fatti”. “Un giornale è una bella esperienza, brava direttrice!”.

Dal numero zero al numero settantanove la firma di Giuseppe Acone ha impreziosito la rivista I Fatti.

Puntuale arrivava la sua telefonata ad ogni uscita: “Brava Direttrice, hai fatto un buon numero”. Quello che non andava me lo diceva subito dopo.

Quando togliemmo l’indice mi avvertì: “Stai attenta, l’ indice conferisce qualità alla rivista. E’ un errore da non fare”.

Abbiamo spesso discusso sui destinatari della rivista, di nicchia per il Professore, più divulgativa per me.

“Non puoi ridurlo a rotocalco, a giornaletto di provincia”. Qualche mese prima di lasciarci aveva smesso di scrivere, la malattia lo stava aggredendo.

Ma non riuscivo a mandare in stampa senza il suo contributo, soprattutto non volevo scrivere la locandina della rivista senza riferimenti al suo articolo PEDAGOGIA di Giuseppe Acone.

E allora lo chiamai: “Professore, non posso mandare in stampa la rivista senza il vostro articolo. Devo scrivere la locandina”. 

Gli parlavo con il voi, come siamo soliti fare noi del Sud con le persone a cui vogliamo bene.

Le forze gli venivano meno, ma mi ascoltò e scrisse per noi

Provavo a portargli messaggi di ottimismo, di incoraggiamento: “Mi condanna la genetica, cara. Non me lo dicono, ma li vedo, mi accorgo che la mia ora sta arrivando”.

Aveva ragione lui, ancora una volta. 

 A settembre 2017 gli scrissi: “Professore, dobbiamo scrivere ancora tante belle pagine”.

Rispose: Grazie di tutto cuore Ornella cara. Sto cercando di resistere, ma sappi che comunque vada considero la bella esperienza dei Fatti una delle più belle della mia vita.

Un abbraccio a te e ai tuoi uomini

Giuseppe Acone

 

 

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di Ornella Trotta

Ornella Trotta

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