Barbie è l’iconica bambola che ha lasciato un’impronta indelebile nella cultura popolare dei due secoli passati. Con il recente film di Greta Gerwig, protagonista agli Oscars, la curiosità intorno a questo personaggio tanto discusso e amato è tornata di attualità.
Per svelare alcuni dei suoi segreti più affascinanti, ho avuto il privilegio di intervistare il dottor Antonio Russo, urologo napoletano, noto per possedere la più grande collezione al mondo di Barbie.
Attraverso le sue parole, ci immergeremo nei racconti e negli aneddoti che circondano la storia di questa icona senza tempo.
Contrariamente alla maggior parte delle persone che conservano o collezionano giocattoli come ricordi dell’infanzia, io ho solo una cosa che mi ricorda la mia infanzia e che ho voluto tenere. Quando ero bambino giocavo con G.I.Joe, che adesso è diventato Action Man (ed è anche molto più brutto, a mio parere). I miei G.I.Joe rappresentavano per me il mito e quindi ho voluto tenere qualcosa.
Per quanto riguarda Barbie, invece, è stato più o meno un caso fortuito.
Amo definirmi, classicamente, un boomer. Nato nel 1961 (ho la stessa età di Ken, quindi c’è questa similitudine con il mondo di Barbie che ritorna sempre), ho conosciuto la bambola nel 1966 a casa di una mia cugina. Lei l’aveva avuta in regalo dalla sua madrina; non ricordo se venisse direttamente dalla Francia o dalla Svizzera.
Barbie era dunque un giocattolo, una bambola, ma del tutto indipendente. Non bisognava cambiarle il pannolino e non piangeva. Era completamente diversa rispetto al concetto di “bambolotto” a cui eravamo abituati. Forse più che la bambola in sé, che all’epoca era anche piuttosto bruttina (c’è una differenza tra le Barbie degli anni Sessanta e quelle di ora, che sono diventate molto più “bambole”), mi colpiva il fatto che ogni bambola fosse corredata di un librettino che illustrava tutti gli abiti che aveva in dotazione (ciascun abito, a sua volta, ben descritto in ogni particolare).
Già fin da allora c’era questa molteplicità di carriere e di situazioni che la bambola poteva vivere e quindi era una bambola che in qualche modo suggeriva la possibilità di “essere” senza necessariamente doversi inventare un ruolo per lei. Ognuno poteva scegliere quella che preferiva.
Da questo, forse, è nato il mio amore per la Barbie. Era la cosa più simile ad un action figure: quando giocavo con il mio G.I.Joe, che si chiamava Fabrizio (Joe era troppo volgare, invece Fabrizio era un nome elegantissimo) gli facevo assumere tanti ruoli diversi. Fabrizio è stato medico, commissario, ecc. E in effetti fu in quel momento che chiesi una Barbie, perché avendo sempre amato gli action movies, avevo bisogno di una fidanzata che si mettesse in pericolo in modo tale che Fabrizio potesse correre a salvarla.
Siccome questa bambola mi aveva incuriosito, l’ho poi sempre seguita negli anni, notandone le diverse diverse trasformazioni ed evoluzioni, che sono forse la carta vincente di Barbie nell’arco di questi 65 anni.
Quando ho cominciato a comprarne alcune per la figlia di una coppia di amici, questa passione è scoppiata nuovamente ed è nata la voglia di interessarsi all’oggetto, di capirlo, di studiarlo. La prima cosa che ho fatto è stato documentarmi attraverso i libri, approcciandomi dunque a Barbie con metodo scientifico (che peraltro è anche il mio lavoro). Ho cominciato ad acquistare le prime bambole d’epoca e da lì è continuata questa ricerca del vedere, dell’osservare e anche di trovare quale fosse la bambola cosiddetta “rara”. La famosa rarità che non dovrebbe esistere secondo catalogo, ma che puoi fortuitamente trovare in un lotto o in un fondo di magazzino.
Ken viaggia in parallelo con Barbie; soltanto per qualche anno è stato un po’ trascurato. Ma in effetti l’ha sempre accompagnata. Ken rappresenta quell’accessorio necessario, ma facilmente trascurabile. Un accessorio che può con facilità essere messo da parte per una sera. Io, a differenza di altri collezionisti che si identificano in Barbie in tutto e per tutto, mi sono sempre sentito molto Ken. Per cui permetterne la glorificazione grazie a Ryan Gosling è stata un’intuizione incredibile. Sebbene nel film gli fanno fare una figuraccia, il fatto che poi lui ce l’abbia fatta agli Oscars (e Margot Robbie no), mi ha divertito tantissimo.
Durante il numero che lui ha fatto cantando I’m just Ken circondato da ballerini vestiti come quelli che accompagnavano Marilyn Monroe nella famosa Diamonds are a girl’s best friend, era vestito di rosa (il completo era di Gucci N.d.R.) e indossava anche i guanti rosa! Quando mai si poteva pensare di far indossare i guanti di pelle rosa a Ken?
Una situazione di uno stravolgente incredibile.
Ci tengo sempre a sfatare un mito che secondo me la addolcisce troppo: Barbie non è una bambola adatta per l’intuizione, Barbie è una bambola nata per l’osservazione attenta.
Già sulla fine degli anni Cinquanta cominciarono a comparire sul mercato le prime prime bambole di aspetto teenager (dove teenager voleva dire soltanto con il seno e con il piede arcuato per poter portare le scarpe con i tacchi). Era il 1955/’56 quando un’azienda di New York la Madame Alexander Dolls inventò la sua Sissi.
Sissi era però una bambola molto grande, alta circa 60 cm e corredata da abiti costosi. Aveva come caratteristica quella di mantenere il viso da bimba e con lei ne arrivarono molte altre. Col tempo (arriviamo al 1958) si intuì che bisognava in qualche modo ridurre le dimensioni delle cosiddette fashion dolls e quindi da Sissi nacque Sissette e dalla sua concorrente più famosa, Miss Revlon, nacque la Little Miss Revlon.
Ruth Handler, che ha brevettato e non inventato Barbie, durante un viaggio in Europa scoprì a Lucerna, in una tabaccheria una bambola che si chiamava Lilli o meglio Bild Lilli perché era la rappresentazione in 3D in plastica del personaggio di una strip di fumetto che compariva sul tabloid tdesco Bild. il nome di questo personaggio era appunto Lilli. Lilli che ha avuto dei film dedicati, Lilli che resiste ancora adesso perché nel famoso “quesito con la Susi” della Settimana enigmistica la Susi non è altro che la Lilli, così com’era stata concepita.
La Handler scopre questa bambola formosa, estremamente procace, di ridotte dimensioni rispetto alle precedenti teenager dolls, con un aspetto misto tra un angelo e un diavolo. Trucco pesante, forme procaci: lo scopo era quello di riprodurre personaggi tipo Marilyn Monroe o Betty Grable che nei film cercavano un marito ricco che garantisse loro un certo tenore di vita. La bionda finta scema, dunque, non era Doris Day, ma un personaggio sicuramente più provocante.
Ruth Handler disse: “Voglio questa bambola!”
Ne comprò quattro; due ancora sono nella collezione della figlia Barbara, quella che ha dato il nome a Barbie. La mandò in Giappone, fece cambiare qualcosa perché Lilli era tenuta con gli elastici, aveva un viso un po’ più provocante, le scarpe erano dipinte e gli orecchini anche e poi commercializzò Barbie.
Esattamente. Il costume a righe che peraltro era stato indossato per la prima volta da Sandra Dee, la famosa attrice teenager, nel nel ’66. Coda di cavallo, costume a righe, si portavano tantissimo negli anni ’60. Costume di maglia e non di helanca come avvenne in seguito.
E quindi questa è la storia della nascita di Barbie, poi ci sono moltissime fantasie sulla scultura, da chi è stato copiato il viso ecc. Il modello c’era e confrontando fotografie di Lilli e di Barbie si renderà conto che si tratta praticamente della stessa bambola, in una proposizione un pochino diversa.
Insieme a Barbie furono progettati (e anche Lilli li aveva) una serie di abiti. La prima serie ne ha 22: completi, perfetti, bellissimi, che si concludono con un abito da sposa. Era venduta come teenager fashion model. Doveva avere in realtà tra i 18 e 19 anni, ma se si osservano anche le primissime Barbie, è una ventiquattrenne più che matura.
Negli anni ’60 le donne, anche giovani, si vestivano da adulte; tuttavia, dagli anni ’70 in poi, anche quelle più adulte hanno cominciato a vestirsi in maniera più giovanile (con la minigonne, per esempio).
Questo è il primo passaggio vero di cambiamento della Barbie. Negli anni ’50-’60 la donna è patronale, impostata. La classica signora che si faceva fotografare con la gamba puntata in avanti “perché slancia”, con i cappellini, i guanti, le perle. Io stesso ho un ricordo di mia mamma, di quando avevo 4-5 anni, con il filo di perle, con i guanti, con il cappellino, che era la cosa più tipica dell’epoca. Negli anni ’70 viene stravolto tutto e quindi cambia la moda, cambia il passo e la nostra fashion model doll deve adeuarsi.
Più Mary Quant, più Emilio Pucci più Paco Rabanne: tutto quello che “faceva giovane” all’epoca.
Lei adesso sembra realmente una diciottenne, una ragazza carina; e la cosa singolare è che negli anni ’70, in piena rivoluzione femminista, Barbie non ha carriere se non quella di modella. Mentre negli anni ’60 aveva quattro lavori specifici (l’infermiera, la cantante di night, la disegnatrice di moda e la hostess di volo), adesso queste divise scompaiono e ritornano solo a fine anni ’70 con la Barbie chirurgo (1974).
Ma la vera esplosione di Barbie a livello mondiale è a fine anni ’70 con la creazione di un modello che si chiama Barbie Superstar. Tutti ricordano questa Barbie, il viso classico sorridente e con le braccia piegate, che venne immortalato da Andy Warhol nella sua famosa serie di figure Pop, dove ha messo: Marilyn Monroe, Liz Taylor, se stesso e Barbie.
È quello il grosso momento nel quale Barbie assume anche una caratteristica fondamentale.
Fino agli anni ’80 (quindi ’77-’80) le scatole di Barbie erano varie: o erano blister o erano bubbles o erano scatole molto strette con i figurini sopra, perché la bambola veniva venduta solo con il costume. Nel 1977 si brevetta la scatola rosa con il famoso Pantone 109/c che si chiama Rosa Barbie ed è una variazione del Magenta, quindi non è neanche un rosa vero. Da quel momento in poi il mondo di Barbie si identifica con il rosa e il biondo. Tutto quello che poi hanno celebrato con il film.
L’unico accenno che si fa alla storia di Barbie, quella vera, nel film, è l’inizio: quando lei compare col famoso costume a righe, gli occhiali cat eyes e c’è questa scena in cui le bimbe lanciano le vecchie bambole – bambolotto per adottare Barbie. Ma era già nell’aria.
Per ogni epoca io faccio riferimento sempre alla moda, che la cosa più carina.
Negli anni Sessanta Barbie era tutta Dior, Balenciaga, che erano le grosse linee europee mai dichiarate, ma sempre suggerite. Nei Settanta era tutto quello che faceva modern, tutto quello che era Londra (Quant, Pucci, Rabanne).
Poi Barbie diventa inevitabilmente Oscar de la Renta, con i grossi vestitoni a maniche corte e gonfie e poi Versace.
Tutto questo non è stato tanto celebrato nel film (che peraltro ha un suo spessore anche dal punto di vista del collezionista) bensì con gli abiti che hanno fatto indossare a Margot Robbie per la presentazione del film nei vari Paesi.
Tranne il costume che è stato poi celebrato con un abito a righe, tutti gli altri abiti, da Vivienne Westwood a Versace, sono tutti abiti che vanno dagli anni 80 in poi.
C’era grossa attesa sul film, perché non era il primo film con Barbie protagonista. C’era già stata una serie di film a cartoni con Barbie protagonista, ma erano film per bambini. Fare un film su Barbie, inventandosi una storia nuova che poi andasse a toccare argomenti, che in realtà Mattel non voleva nemmeno che si toccassero, era sicuramente un grossissimo rischio.
D’altronde questo film non è un film per bambini. Lo è soltanto forse nelle prime scene, dove c’è questo mondo rosa, tutto di plastica, comprese le onde dove Ken si tuffa e batte con la testa (tipico di Ken!). Poi subito si cambia e il film si evolve in questa ricerca della umanizzazione di Barbie.
Nel film viene enunciata questa cosa: Barbie ha insegnato alle bambine a essere un’astronauta, a essere una buona madre, a essere qualsiasi cosa si voglia. Ma quando si trova nel mondo reale le bimbe la odiano, accusandola di non aver insegnato niente di reale.
Prima delusione: dietro lo studio di Barbie c’è una percezione completamente patriarcale perché il maschio insegna alla donna quello che deve essere attraverso la bambola. Nel film, in realtà, quello che Barbie cerca è la sua definizione come autonomia: “Alla fine, io, che cosa sono?” La risposta la da il personaggio di Ruth Handler in due scene diverse. Quando incontra Barbie per la prima volta e le dice:
“Come sei cambiata, io ti avevo creato in un modo, avevo pensato a te in un certo modo e invece adesso sei bionda, rosa e oca!”
E alla fine, quando Barbie deve scegliere se rimanere a Barbieland oppure venire nel mondo reale e Ruth Handler le dice:
“Sarai sempre te stessa, perché tu non sei un’entità, tu sei un’idea. E l’idea è quello che fa di te il personaggio vincente!”
Quindi, in realtà, è l’idea che è vincente e Barbie resiste perché ha avuto la capacità (non lei specificatamente) di adattarsi ai cambiamenti.
Pochi ci fanno caso, ma nel 2000, ad esempio, si passa da una bambola che ha ancora il seno grosso, ad una modellatura del corpo diversa, in cui Barbie ha il seno più piccolo e i fianchi più larghi; e per la prima volta ha l’ombelico. Il primo modello con l’ombelico si chiama Jewel Girl e segna proprio il passaggio verso un’epoca diversa. La prima fase in linea con la moda della pancia scoperta, che già indicava una nuova nascita.
Altri passaggi visibili nel film, quando le danno una pacca sul sedere e lei reagisce con un bel cazzotto in faccia.
Solo dal 1998 in poi esisteranno le mutande stampigliate direttamente sulla bambola; fino a quel momento si vendevano, a parte, i completini intimi. Le associazioni dei genitori più di una volta hanno protestato in questo senso: una bambola che non indossa l’intimo che cosa può mai insegnare?
Anche sulle Rockstar c’è una storia estremamente carina. Negli anni in cui sono state progettate, era in preparazione un cartone animato che si chiamava Jem e le Holograms.
Il primo progetto per creare delle bambole dedicate alle Holograms venne proposto alla Mattel. Vennero elaborati una serie di prototipi, ma non fu raggiunto l’accordo commerciale per cui le bambole vennero poi prodotte da un’altra azienda. Però, contemporaneamente, venne fuori la Barbie Rockstar che contrastava Jem.
Io penso che in assoluto Barbie abbia veramente impegnato tante tappe nella storia, anche dal punto di vista dell’ immagine femminile. Riportiamola nella percezione della donna, per la donna: il “modello Barbie”, in realtà, non nasce con Barbie, nasce molto prima. Parliamo del 600 d. C.
La famosa bambolina di avorio, snodata, con i gioielli trovata nella tomba di Crepereia Tryphaena sulle rive del Tevere, era praticamente una bambolina adulta che aveva lo scopo di insegnare ad una giovane donna come si diventa matura e adulta. Lo scopo della Fashion Doll, quindi della bambola che si veste, in effetti è questo. Riportiamola storicamente nella pittura e nella letteratura (oltre che nelle figurine fittili greche, che erano uguali).
Quando Velázquez ritrae le Infante di spagna, giocano con delle bambole dame di aspetto adulto. E quando Manzoni cita la monaca di Monza dicendo che l’avevano abituata fin da bambina a giocare con bambole vestite da monaca, perché doveva imparare a essere badessa, sicuramente non le avevano dato bambole di aspetto infantile, perché sarebbe stato sbagliato il passaggio. Erano bambole di aspetto adulto, in modo tale che lei si abituasse a governare persone adulte.
Il bambolotto, il fantoccio, pur esistendo da sempre e rientrando appieno in un passaggio fondamentale dello sviluppo psicofisico di un bimbo, che è quello di curare qualcosa o qualcuno come la mamma cura lui, a quel tempo veniva presto perso perché era fatto con stracci.
Il grosso sviluppo si avrà alla fine del Settecento inizio ‘800, con l’epoca romana antica, in cui il ruolo della donna è stabilmente e definitivamente: donna di casa, moglie e madre. E quindi le bambole bambine sono quelle che abituano a gestire la vita da adulta.
Le bambole di aspetto adulto venivano, di contro, chiamate bambole da boudoir ed erano destinate alle donne single e alle prostitute. Anche noi in Italia abbiamo avuto una produzione di bellissime bambole da boudoir, da parte della Lenci. Purtroppo tutte figure “strane”: le dame, Violetta, la Gigolette francese. Non c’è una figura romantica: la stessa Violetta rappresenta, fondamentalmente, una escort di lusso.
Attualmente Barbie è stata ridotta ad una dimensione diversa. Entra in crisi per l’avvento di Bratz (fine anni ’90), quando Bratz si rivolgeva ad un popolo più adulto.
La Bratz è una bambola che rappresenta ragazze alla moda estremamente spinte, anche un po’ volgari. Al contrario della Barbie che veniva pensata e progettata per bambine più piccole. L’idea di gioco con la Barbie sarebbe dagli 8 anni in su, ma molti cominciavano a darle già alle bambine di quattro/cinque anni. Era chiaro che per loro non potessero andar bene le “ragazze fashion”. Funzionavano, invece: fatine, sirene, principessine cioè qualsiasi cosa potesse stimolare la fantasia di un bimbo piccolo.
Nello stesso momento, vista la eccezionale collezionabilità della bambola, perché era ed è una bambola talmente pop che chiunque si sente autorizzato a parlarne, magari senza conoscerne nulla, viene creata una linea collezionistica.
Esistono serie specifiche per collezionisti che vanno dalle fusioni con i grandi Brand (da Coca-Cola a Ferrari) alle case di moda (Dior, Armani), oppure bambole dedicate a personaggi Fantasy, alle grandi donne della storia e così via. La linea del gioco, invece, negli ultimi anni, più precisamente dal 2016, ha invece virato verso qualcosa che io chiamo falsamente inclusivo.
Perché ho parlato di “falsamente inclusivo”: la bambola con la protesi alla gamba o con la protesi auricolare o con la vitiligine, piace più all’adulto che al bimbo.
Ho sempre pensato che il bimbo, in particolare quando è piccolo, vuole giocare con qualcosa che stimoli la sua fantasia.
Trovarsi con una bambola in qualche modo “menomata” tra le mani può essere una curiosità, ma poi il giocattolo viene messo da parte.
Diverso il discorso sulla corporeità; capire che una persona può essere più o meno tonda, alta, magra, può essere più facilmente accettata ed accettabile anche dal bambino.
Per meglio spiegare il mio punto di vista, uso un esempio, come faccio sempre: una mia collaboratrice ha 2 bimbi e la sua femminuccia adesso ha 8 anni.
Le hanno regalato la Barbie sulla sedia a rotelle, che sarebbe il prototipo dell’inclusione, se non fosse che la bimba ci gioca, ma poi alza la bambola, la mette piedi, la veste e le fa fare le sfilate di moda concludendo che la sua Barbie non è paralizzata, si è soltanto fatta male.
Se l’intenzione fosse stata realmente quella di includere, bisognava realizzare una bambola che alla fine non potesse stare in nessun altro modo se non sulla sua sedia a rotelle.
Altrimenti stravolgo il concetto dell’ inclusione. Come dire: realizzo una bambola dalla pelle scura, ma se la lavo la sua pelle si schiarisce.
In realtà è cambiato proprio il sistema di gioco. Mattel punta ormai relativamente poco su Barbie che copre poco più del 5% del suo fatturato. Negli Stati Uniti Mattel è anche proprietaria di Fisher Price, che è come se fosse la Chicco qui da noi. Quindi vestiti, pannolini, alimenti per bambini, giocattoli, hanno tutti firma Fisher Price – Mattel.
Si cerca sempre di mantenere Barbie su una fascia di vendita più o meno valida, producendo serie più o meno interessanti, come le “Bambole dal Mondo” le figure delle “grandi donne” che hanno ispirato la storia e così via.
Tutto questo, però, risulta interessante solo a livello di collezionismo. Io posso raccontare al bambino la storia di Rosa Parks, ad esempio. E il bambino mi ascolta, ne fa tesoro, ma alla fine ciò che gli interessa è che la sua bambola di colore indossi il suo vestito da sera e partecipi al Met Gala. Ed è giusto così.
È quello per cui è fatto il gioco. Il gioco deve essere fantasia e deve essere di stimolo alla fantasia.
Barbie ha avuto tantissime concorrenti. Tanya da noi era una sorta di concorrente di tipo nazionale, poco importante. Era un clone a prezzo molto ridotto rispetto alla bambola di linea per consentire ad ogni bambina ad averne una simile. C’è una curiosità: l’indirizzo dell’azienda che curava Tanya in Italia, e quello che curava Barbie, a Oleggio Castello, era il medesimo. Non sappiamo se si trattasse di due uffici diversi o addirittura lo stesso.
Le altre grandi concorrenti sono state: la Tammy negli Stati Uniti, negli anni Sessanta, prodotta da una azienda che si chiamava Ideal. Tammy rappresentava una teenager e la sua pubblicità giocava anche sull’evocativo: “This is Tammy, the Ideal teen” – cioè la teenager ideale. Cosa, questa, che Barbie non sembrava. Tammy è molto Fashion Doll; è interessante perché indossa abiti tipicamente da teenager, ha una famiglia completa ( un padre, una madre, un fratello e una sorella) e quindi regala tranquillità. E anche se sembra che a un certo punto finisca, perché non è stata più prodotta nel ’66, in raltà continuerà a sopravvivere fino a metà degli anni Settanta in Giappone. Ci fu una serie di produzioni di abiti di moda e da sposa, esclusivi per il Giappone, per Tammy e vi hanno partecipato anche i nostri stilisti. Infatti Tammy ha due abiti da sera di Pucci.
Viene anche dislocata in Brasile, dove diventa Susi dove ancora sopravvive e su cui c’è un grosso collezionismo. Molti stanno ricomprando le riproduzioni della Susi.
C’è, poi, uno strano tipo di parallelo tra la Tammy e la Cindy inglese. Cindy è durata fino al ’94 ed era molto più europea rispetto alle altre. Indossava abiti tipicamente inglesi ed è stata prodotta prima da un’azienda, poi di un’altra, poi di una terza per poi ritornare all’azienda di origine.
Tutte queste bambole sono state sempre concorrenti particolarmente forti per la Barbie. Le hanno sottratto molto mercato, come ha fatto Bratz. Anche perché erano inevitabilmente più tranquillizzati, meno vistose, meno formose, meno provocanti. Molte molte mamme non compravano Barbie perché aveva il seno troppo pronunciato.
Un’ amica collezionista era scandalizzata dal fatto che le bambole degli anni 60 non avessero i collant, ma soltanto il reggicalze. Che poi, a quell’epoca, erano quelle le più comuni; i collante era una cosa rara e costosa e ci si arriverà solo a fine anni ’60. Lei trovava quel tipo di calze troppo erotiche per suggerirle a una bambina.
NAPOLI. Chi l'avrebbe mai detto che una ciabatta nei reni potesse far ridere così tanto?…
Sarà Diventare umani (Becoming Human) il filo conduttore della 55esima edizione del Giffoni Film Festival, in…
Il Sindaco Conte vince al Tar la battaglia in difesa dell’ospedale di Eboli. Pubblicata…
Salvatore Forte racconta il Giappone e la fine del gemellaggio tra Salerno e Tono di…
Bilancio, progetti, assunzioni, tutte le news dalla Banca Monte Pruno, intervista a Michele Albanese, direttore…
Accompagnato da Antonio Larizza, Presidente di Artis Suavitas Aps e ricevuto da Rodolfo Conenna, direttore generale dell’Azienda…
Leave a Comment