di Gerardo Iuliano
Raccontino introduttivo: mia madre ha insegnato materie letterarie per una vita; mio padre pure, ma se ne andò troppo presto, e lei rimase sola, sull’insegnamento, e anche sulla famiglia.
Ma lei, Rosetta Sena Iuliano, era professoressa nata, e ci teneva; il suo idealismo di marca crociana le faceva considerare l’insegnamento come una missione, ancora non soggetta alle influenze aziendalistiche e commerciali che il termine “mission” ha assunto in seguito, e che sta riducendo al rango di scuola tecnica anche l’università.
di Gerardo Iuliano
Amleto De Silva scrittore irriverente, allievo modello
Raccontino introduttivo: mia madre ha insegnato materie letterarie per una vita; mio padre pure, ma se ne andò troppo presto, e lei rimase sola, sull’insegnamento, e anche sulla famiglia.
Ma lei, Rosetta Sena Iuliano, era professoressa nata, e ci teneva; il suo idealismo di marca crociana le faceva considerare l’insegnamento come una missione, ancora non soggetta alle influenze aziendalistiche e commerciali che il termine “mission” ha assunto in seguito, e che sta riducendo al rango di scuola tecnica anche l’università.
Sta di fatto che, tra le fisime idealistiche, c’era quella di instradare i figli a modo suo, così quando scoprì che il figlio maggiore era bravo in italiano e latino, lo coltivò appassionatamente, facendogli leggere, con la scusa (tipica del post sessantotto) di avere un giudizio “più giovane”, tutti i temi dei suoi ragazzi.
E nonostante il figlio maggiore si fosse poi iscritto a medicina, continuò imperterrito a leggere i temi in classe, fin sotto la laurea.
Così mi sono trovato, come un vecchio professore, a ricordare in seguito i nomi di diversi ragazzi, in particolare, naturalmente, quelli degli scrittori scolastici più brillanti, da Andrea Magliano, oggi agronomo, a Maurizio Falcone, psichiatra, ad altri.
Tra questi, quattro o cinque in tutto nel giro di una buona ventina di anni, spicca Amleto De Silva.
Lo so che voi di De Silva conoscete Diego.
E’ il fratello minore, scrittore brillante e umoristicamente “malinconico”.
Io però i suoi temi non li ricordo, non sono del tutto sicuro che anche lui sia stato suo alunno, o forse ero già avanti all’università.
Come va va: mia madre, come tutti all’epoca, e spero anche ora, in un giudizio valutava schematicamente forma e contenuto.
I temi di Amleto erano pirotecnici, frizzanti, funambolici, appassionanti; il contenuto era imprevedibile, originale, sempre pertinente ma sempre impertinente, mai retorico o scontato.
E poi c’erano la densità della scrittura, le immagini e i pensieri che si susseguivano e le sensazioni evocate senza soluzione di continuità, un pensiero vulcanico, velocissimo, incisivo, e irriverente.
Allora, per fortuna, non era ancora l’epoca del politically correct.
Quella è arrivata dopo.
Fino a quattro anni fa, quando mia madre ci ha lasciato, le ho sempre regalato tutti i libri che trovavo, di Amleto, e di Diego.
Del secondo sono tanti, scritti bene, pubblicati meglio, e resi meglio ancora alla tivù.
A mia madre piacquero più i primi due, meno ironici e più impegnati; io mi ci affezionai solo quando mise in mezzo l’avvocato Malinconico.
Di Amleto ricordo, ancora da universitario, un racconto, credo fosse il primo che pubblicava, subito dopo la licenza: “Lilla”, in cui solo alla fine si scopre che l’io narrante è una cagnetta.
Molto più tardi trovai “Stronzology – gnoseologia della dipendenza dagli stronzi” (LiberAria Editrice, 2014).
A mia mamma non piacque; era di palato fino, e faceva le pulci sempre e comunque. Soprattutto a me.
Non sapevo, e li trovo solo ora sul web, di altri titoli: “Degenerati – Il metodo Cyrano per salvarsi la vita in un mondo di idioti” (2015), “Il dizionario illustrato dei #giovanimerda” (2016), “I nuovi 10 peggio. Sociologia della scemità” (2017), “L’ esemplare vicenda di Augusto Germano Poncarè” (2018), “Il pugilatore. Viaggio intorno a Sonny Liston” (2021).
Conoscendo i suoi pregressi scolastici, interpreto: come succede quando hai troppe idee, e, diciamocelo, sei “troppo” bravo, non ti adegui al mercato.
E quando veramente “amor ti spira”, non sei malleabile e disponibile al politically correct come tutti quelli che hanno seguito corsi di scrittura creativa o di editing, specialità commerciali più o meno come le scuole calcio, che hanno ridotto i campioncini della strada o dell’oratorio a polli da batteria.
Questo penso.
Perché la densità e le associazioni di idee di Amleto gli regalano una scrittura unica, originale, suggestiva, ma anche immediata, popolare, intuitiva.
E, naturalmente, impertinente e irriverente.
E’ quello che succede nell’ultimo libro, “Bocca mia mangia confetti” Rubbettino, 2022.
Mi basta introdurre i personaggi, tratti dal quotidiano di una città che ha perso velleità industriali e lavoro, e vive da serva della gleba, governata da personaggi che fanno chiedere, a me altirpino, come mai Veltroni ce l’avesse avuta poi tanto con gente come De Mita.
C’è Tatonno, o Totonno (lo so, il nome l’ho usato pure io, ma non c’entra), che chiacchiera a vuoto ma ha smesso di parlare, di esprimersi sul serio, perché non ne vale la pena, almeno finché non trova Cinzia, una ragazza che non parla manco lei da quando “è rimasta sotto” perché gli è morto un fratello, ma è capace di capire i suoi pensieri prima di lui.
C’è Angela detta Checca, stronza molisana fuorisede e fuoricorso storica, che si arrangia piuttosto bene subaffittando l’appartamento messole a disposizione dal fidanzato, ricco giovinastro salernitano detto il Zozzoso.
E poi c’è Lino Feola, pensionato statale separato, rientrato a Salerno, dove negli anni settanta era stato un astro del jazz-rock-prog-fusion locale come leader degli “Asfalto Ghiacciato Bollente”, per scoprire che sui social c’è ancora chi aspetta la sua rentrée.
E la storia comincia a girare attorno al rientro di Linofeola, che coinvolge il fallito Totonno come batterista, e alla faida che sconvolge le figure di Bebbè Senatore (organizzatore di eventi scaricato dall’amministrazione comunale), e della coppia Agatina Finizio – Angelo Ruggiero, praticante dello studio Finizio, organizzatrice di eventi poetici (il premio Poncarè, un altro topos tipico di Amleto), e causa dello scarico del Senatore.
Vengono fuori omicidi, vendette, ritorsioni, investigazioni del tutto personali, e cariche di cavalleria da romanzo di cappa e spada, prima che tutto rientri, forse in meglio, nella tranquilla sonnacchiosità passiva della città di Salerno.
Non vado oltre; dico solo che della storia mi piace pressoché tutto, dal picaresco al popolare al politico al neorealistico all’umoristico al provinciale alla commedia all’italiana; soprattutto mi piace il passaggio dal sarcasmo degli scritti passati a un’ironia superiore, pungente e nostalgica ma sempre scanzonata.
Credo che con questo romanzo l’autore, abbia raggiunto una piena maturità artistica. Grazie Amleto!
P.S.: anche a nome di mia mamma!
Amleto De Silva scrittore irriverente, allievo modello
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