Se di guerra si discute al festival
Sono solo canzonette?
Così recitava una canzone di un celebre cantautore napoletano dove, con molta ironia, colpiva il “sistema” politico ed economico, rivendicando il ruolo da parte degli artisti ad essere dissacranti.
Da tempo ormai si assiste ad una contaminazione dei generi, dove i politici ricorrono sempre più spesso a forme di espressioni colorite, non disdegnando lazzi e sberleffi, cadendo sovente nel ridicolo.
Il bello é che, mentre, quelli che un tempo erano definiti menestrelli, oggi si sentono investiti da una sorta di missione, quella di lanciare messaggi che vanno oltre la loro vocazione artistica, fino a confondersi in una contorsione dei ruoli, dove non si distingue il semplice intrattenimento dalla rappresentazione della cruda realtà.
È paradossale che dei temi impegnativi come la guerra trovino spazio in un festival della canzone, più di quanto meriterebbero di avere in Parlamento, nei dibattiti politici e sui giornali.
Quasi un ruolo di supplenza svolto dagli artisti, rispetto ad un vuoto ideale che i partiti e la politica da troppo tempo hanno creato, preoccupandosi di amenità.
Sarebbe bello se i comici tornassero solamente a far sorridere, i cantanti a deliziare le orecchie e l’anima.
Ciò significherebbe avere una classe politica finalmente senza teatranti, peraltro di scarso livello.
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