di Liberato Taglianetti
Nonno Pugliese il socialista
Una sera come tante dopo aver fatto una capatina veloce da “Cibbone” e aver bevuto un mezzo luigino annacquato, si ritirava verso casa.
Giunto al Ponte della Chiazza incontra il solito gruppo di miliziani appoggiati alla sponda sinistra del ponte e un gruppetto al centro della carreggiata che con fare ironico e minaccioso lo aspettano per chiedergli come mai si stesse ritirando a quell’ora.
La risposta di solito non si faceva attendere: “sono cazzi vostri? Io mi ritiro quando voglio e nessuno può dirmi niente.
Mi sa che stasera tu hai sete, non è vero? – Ho bevuto già ‘nu bell bicchier ‘re vino alla faccia di chi riche io (ho bevuto già un bel bicchiere di vino alla faccia di chi dico io (Mussolini).
E stava per superare il gruppetto di feroci camicie nere quando sentì alle spalle una voce che piena di livore gli intimava di fermarsi e poi: dove hai messo il garofano rosso?
Che? Il garofano dei socialisti. Dove l’hai messo?
Cà, agge mise- indicando la patta dei pantaloni.
In quelle condizioni? Quali condizioni?
Se guardi bene ti manca qualcosa nei pantaloni. Al che il nostro con apprensione guardò il suo sudicio pantalone pieno di schizzi di calce, ma non riscontrò niente di nuovo.
Il mio pantalone è ‘nu poco sporco di fatica, ma non ha niente.
Fammi vedere. Lo apostrofò uno dei bravi guardiani del decoro pubblico che gli si avvicinò e apertogli la patta dei pantaloni ne asportò un bottone.
Vedi ti manca un bottone e quindi devi pagare altrimenti devi bere.
Ma io non ho soldi e poi il bottone l’hai strappato tu…
Io? Avete sentito che gran bugiardo è il nostro caro socialista?
Vieni bello, vieni a bere, te lo sei meritato.
Così nonostante tentasse con tutte le sue forze di ribellarsi fu abbrancato da due energumeni che lo costrinsero a terra mentre un altro gli faceva pressione per fargli aprire la bocca in cui inserì un imbuto lacerandogli le gengive e dentro vi versò dell’olio di ricino.
Lo obbligarono ad ingurgitarne un salutare luiggino (un quarto) e poi allentarono la presa.
Così lo lasciarono per terra solo e sporco del liquido che gli lordava la faccia allontanandosi da lui gridando:”A chi la vittoria? A noi”.
Si rialzò con le viscere in fiamme e con la bocca sanguinante lentamente si diresse a fatica verso casa.
La moglie con tutti i suoi piccoli l’attendevano trepidanti e quando dal balcone che dava sulla piazza antistante la chiesa lo videro comparire, scese le scale rapidamente e gli corse incontro per aiutarlo a varcare la soglia di casa.
Non fece in tempo a rinchiudersi nella “ritirata” di casa ubicata nel portone quando una scarica diarroica ebbe ragione di lui sporcandosi tutto senza potersi trattenere.
La moglie piangeva, ma lui no, ripeteva solamente e in continuazione “quanne finisce sta storia, quanne finisce sta’ storia”, imprecando con forza contro tutto e tutti.
Ma che hai fatto questa volta per meritare tutto questo?
A dda fenì e po’ verimme. E giù bestemmie all’insegna del capoccione fascista e dei suoi maledetti guardiani del pubblico decoro. Era la prassi.
Non era necessario aver commesso chissà quali reati per ricevere trattamenti del genere dai tutori dell’ordine e della salute pubblica.
Anche uno sguardo di traverso o non aver tolto il cappello al passaggio di simili insigni personaggi comportava a volte una scarica di manganellate sul groppone o peggio un po’ di olio di ricino da trangugiare obbligatoriamente per pulire le viscere “ ricche di grassi” del malcapitato nonostante l’autarchia.
Molti giovani erano partiti per il fronte e le notizie che provenivano dai vari teatri di guerra erano da un po’ di tempo sempre più confuse e incerte.
Dal dottore amico di famiglia aveva saputo che gli americani erano sbarcati in Sicilia e che presto sarebbero arrivati pure a Salerno.
La guerra stava per finire, ma lui non ci credeva e tutto gli sembrava un sogno che non si avverava mai.
Poi quando alla radio diedero la notizia delle dimissioni di Mussolini cominciò a piangere per la gioia e scese in strada per trovare i suoi nemici di sempre, ma stranamente nessuno più presenziava con il manganello al culo le strade cittadine, le camicie nere erano scomparse.
Gli uomini erano tutti coperti con i loro logori abbigliamenti civili anzi solo uno degli ex miliziani appena lo vide, gli corse incontro dicendo: è finita, l’hanno arrestato finalmente. Il fascismo è finito.
Ma, fammi capire, tu non eri fascista? Io? Quando mai, la divisa dovevo indossarla per forza.
Me la sono tolta e l’ho buttata int’a Tenza e la cimicetta pure.
Ora siamo tutti monarchici e non più fascisti. Viva il re e Badoglio.
Non sei contento pure tu?
Senza parlare gli si avventò contro sferrandogli una gragnuola di pugni e calci all’impazzata fino a quando tanti accorsero per toglierglielo dalle mani.
Come siete veloci a cambiare partito. Siete proprio dei grandi italiani. E gli sputò addosso.
E voi tutti quando questi signori mi picchiavano dove eravate?
Quante volte avete assistito ai paliatoni che ho subito da questi uomini in camicia nera senza mai intervenire né parlare, dove eravate?
Che grande popolo! Poi tutto soddisfatto tornò a casa e spalancato il balcone cominciò a gridare con quanto fiato aveva in gola:E’ finita, e’ finita. I fascisti so’ scappati comme a Musullino.
Ma che dice, cumpà? Io non sono scappato, mo’ mi ritiro dalla chiana.
Non era Benito Mussolini, ma Mussullino ‘e cartone, figura storica del borgo che pur non avendo il fisico del duce amava per il divertimento degli amici del casale scimmiottarne gli atteggiamenti, la faccia truce e la posa a gambe divaricate e ripetere la frase famosa: ”vincere e vinceremo”.
Bonasera, cumpà Gennà.
Bonasera e scusa, cumpà.
Purtroppo non tutto era finito e la guerra ancora doveva dimostrare al borgo tutta la sua forza e capacità distruttiva.
Nonno Pugliese il socialista
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