Categorie: Cultura

“Io sono Fedra”. L’amore malato raccontato da Euripide e giunto fino a noi.

NAPOLI. Torna a teatro il mito di Fedra e Ippolito in una riscrittura contemporanea della tragedia di Euripide a cura di Marina Salvetti.

Al teatro Tram (Teatro Ricerca Arte e Musica) va in scena il dolore e l’autodistruzione di una donna, Fedra, protagonista di un amore malato che la ucciderà.

 

Foto di Amanda Annucci

 

Il mito di Fedra e Ippolito

 

La tragedia di Euripide si rinnova ancora una volta e arriva fino ai giorni nostri, mostrando una Chiara/Fedra tristemente attuale.

In scena Titti Nuzzolese, Antonio Buonanno, Errico Liguori, Antonello Cossia e gli allievi del laboratorio del teatro.

La regia è di Gianmarco Cesario.

 

Foto di Amanda Annucci
Foto di Amanda Annucci

 

Raggiunto telefonicamente, il regista ci racconta dello spettacolo: “La riscrittura di Marina Salvetti ha riportato Fedra in un altro contesto, quello ecclesiastico [Chiara è la segretaria del Rettore di un seminario, che un tempo faceva la prostituta col nome d’arte di Fedra. (ndr)]. Ciò mi ha dato l’occasione di poter lavorare molto, dal punto di vista registico, sulla caratteristica dei personaggi. Ognuno di loro ha un lato oscuro, nascosto. Ho dunque lavorato molto su luci e ombre che ne potessero caratterizzare la personalità”.

 

Angosciante attualità

 

“Come gancio verso la realtà di oggi, ma con riferimenti precisi ai corrispondenti archetipi del V secolo a.c. – prosegue Gianmarco Cesario -, il personaggio di Fedra, questa volta, è una donna assolutamente bullizzata da Ippolito, giovane del quale lei è innamorata. Questo amore è per lei tossico e la porterà all’autodistruzione, cosa che purtroppo capita a tante ragazze e ragazzi ancora oggi. Ecco l’aggancio con una triste contemporaneità che mi piace far risaltare. Soprattutto il sacrificio di Fedra, che è quello di una donna innamorata, ma soprattutto disperata per il vuoto e la violenza che le gravitano intorno”.

 

Foto di Amanda Annucci

Io sono Fedra non accoglie in sé grandi opere scenografiche; la scena appare essenziale, fatta solo di luci e quinte. Quello che riempie totalmente il palcoscenico sono i movimenti lenti degli attori, le loro urla a tratti potenti a tratti trattenute, che tratteggiano un profondo studio psicologico dei personaggi impegnati a condividere una storia, purtroppo, ancora troppe volte presente in cronaca.

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di Marianna Addesso

Marianna Addesso

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