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Le corti baronali e la separazione dei poteri

Quando si parla di separazione dei poteri, sembra d’interagire con qualcosa di assodato e valido in ogni dove, ma non è proprio così; quanti conoscono l’esistenza delle corti baronali?

Se fu Locke a teorizzare per primo la separazione dei poteri quando nel 1690 scrisse il Secondo trattato sul governo e se è vero che Montesquieu scrivendo Lo spirito delle leggi nel 1748 perfezionò tale teoria, possiamo essere certi che molti decenni dovettero passare prima che quanto da loro auspicato diventasse realtà.

La separazione dei tre poteri fondamentali dello stato, oltre a equilibrare il rapporto tra lo stato ed il cittadino a favore di quest’ultimo, dovrebbe garantire una maggior partecipazione della cittadinanza alla vita politica degli stati.

Se a noi, lettori contemporanei delle molteplici dimensioni social, apapre decisamente scontato che l’esecutivo, il giudiziario ed il legislativo siano realtà separate ed indipendenti, tanto da non porci domande sulla loro intima natura, non possiamo trascurare che, ancora nel 2019, la maggioranza dei paesi nel mondo non sono ancora pienamente democratici (https://www.democracywithoutborders.org/21768/economists-global-democracy-rating-hits-a-new-low-in-2021/).

Circoscrivere questa situazione alle tematiche dello sviluppo economico sarebbe approssimativo e superficiale. Non possiamo fare a meno di ricordare come, fino a praticamente l’altro ieri, quello della giurisdizione fosse un affare privato dato in privilegio e il cui esercizio veniva concesso in appalto.

Il privilegio feudale

La concessione dei feudi non assicurava solo il godimento dei diritti “economici”, ad esso si accompagnava anche il diritto ad amministrare la giustizia. Possiamo anche credere che la corte baronale agisse in nome e per conto del sovrano, applicando le leggi del regno; invece si seguivano antiche e variegate consuetudini, che spesso riconducevano la ricomposizione delle controversie ad ammende pecuniarie, anche per i reati più gravi come l’omicidio. Inoltre, saremmo in errore se pensassimo che fosse il signore feudale, dall’alto dell’investitura ricevuta, a caricarsi del grave dell’ufficio giudiziario; egli semplicemente appaltava tale incarico, assegnandolo al miglior offerente. Trattandosi di un privilegio e non di un ufficio, era assolutamente naturale che anche da tale concessione discendesse un guadagno.

Per la corte baronale l’amministrazione della giustizia non era onerosa; era redditizia e univa al vantaggio del controllo sociale quello del ripagarsi ampiamente da sé. Non era automatico poter ricorrere in appello ai tribunali regi di seconda istanza, tale facoltà era collegata alla tipologia di concessione feudale emanata.

Questo fenomeno trovava espressione compiuta nel meridione italiano dove il feudalesimo nato con i normanni e gli aragonesi conservava ancora a cavallo tra XVIII e XIV secolo profonde e ramificate radici nella società e nello stato.

Quello delle corti baronali era un grandissimo strumento di potere, che consentiva ai baroni di permeare tutti gli strati della società; era una leva che permetteva loro di “fare con la forza della giustizia che hanno nelle loro mani, qualunque vendetta contro chi si opponga ai loro capricci, alle estorsioni, alle loro ingiustizie” (Tanucci in una lettera a Carlo III nel 1767).

Un lungo percorso di privilegi

Carlo III di Borbone provò ad uniformare l’operato delle giurisdizioni feudali (nel regno di Napoli, alla fine del XVII secolo si contavano ancora 1300 corti feudali). Scrisse in modo che la scelta  dei funzionari rispettasse i medesimi criteri dei tribunali regi; provò ad imporre che la giustizia venisse amministrata in nome e per conto del re, astenendosi dalle consuetudini che riscattavano i delitti con il denaro.

La potestà giursidizionale era tuttavia il cuore pulsante della feudalità; tale potestà consisteva nel complesso di poteri relativi all’amministrazione della giustizia civile e penale sui vassalli da parte dei tribunali feudali.

il percorso di frammentazione della sovranità statale iniziò nel XIV secolo quando i maggiori feudatari ottennero il privilegio pesonale del mero e misto imperio, cioè l’amministrazione della giustizia criminale.

Successivamente, ampliarono i loro privilegi giurisdizioanli con le seconde e terze cause, ossia il diritto di discutere le cause di appello contro le sentenze dei tribunali baronali in secondo e terzo grado.

infine le quattro lettere arbitrarie permettaevano al tribunale feudale di sottoporre a tortura l’inquisito e di moderare o commutare le pene previste dalla legge.  Alfonso d’aragona riconobbe a metà del 400 questi privilegi all’intera feudalità meridionale.

La giustizia doveva, teoricamente, essere esercitata da un dottore in legge estraneo al feudo nominato quale governatore o balivo annualmente.

Sempre teoricamente il governatore era stipendiato dal feudatario; in pratica non riceveva nulla, anzi doveva versare una congrua somma all’atto della nomina. in tal modo viveva alle spalle dei vassalli ed era lo strumento della volontà del barone.

il suddito era totalmente sottomesso all’arbitrio feudale.

Volontà di cambiamento

Nella monarchia inglese il re normanno Guglielmo il conquistatore impose che l’amministrazione della giustizia dovesse rimanere accentrata. Tuttavia, scoprendo una stratificazione di diritti molto estesa e profonda, elaborò, forse come compromesso, quella che poi diventerà la common law. Invece, il caso del meridione d’Italia vide necessario attendere l’arrivo dei francesi con la legge di eversione della feudalità.

In particolare, re Giuseppe Bonaparte stabilì che: “Tutte le
giurisdizioni sinora baronali, ed i proventi qualunque, che vi siano stati
annessi, sono reintegrati alla sovranità, dalla quale saranno inseparabili” (art. 1 legge del 2 agosto 1806).

Il citato articolo 1, ci dice molto su come versasse l’amministrazione della giustizia e di come fosse frammentata ed esile l’effettiva sovranità feudale. Quando cita i “proventi qualunque”, massimizza l’iniqua concezione patrimoniale della giustizia; escludendo di fatto chi non aveva i mezzi, rimaneva una materia ad uso esclusivo di chi aveva le facoltà per monetizzare ogni offesa.

Talvolta, quando ci approcciamo a riflessioni sullo stato del diritto o della giurisdizione, non dimentichiamo le corti baronali e ricordiamo che quella dell’equità è una strada che abbiamo intrapreso con notevole ritardo.

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di Andrea Crivellotto

Andrea Crivellotto

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