NAPOLI. Talarico, un ombrello che accompagna la moda dal 1860. Perché a volte piove anche nel “paese d”o sole”.
Ghette, bastone, orologio da taschino e l’immancabile ombrello hanno determinato per un certo periodo l’eleganza pura, così come il parasole era oggetto imprescindibile per la donna stretta in corsetti e stecche.
L’antica bottega di Mario Talarico nasce nel 1860. All’epoca si chiamava Al giapponese di Giovanni Buongiovanni. Sua Figlia Emilia sposò Achille Talarico e dalla loro unione nacque Giovanni Talarico. Giovanni sposerà Concetta Carlevalis e insieme inizieranno la loro avventura di maestri ombrellai, nel 1924. Dalla loro unione nascono 7 figli: Emilia, Rosaria, Mario, Antonio, Alfredo, Roberto e Giuseppe. Mario sarà la quarta generazione che negli anni 80/90 continuerà l’attività di famiglia. All’inizio degli anni 2000 inizio ad affiancarlo anch’io, Mario Talarico, figlio di Alfredo, quinta generazione di maestri ombrellai e attuale proprietario della bottega.
La nostra politica è realizzare ombrelli proprio come un tempo, continuando la tradizione tramandata da generazioni. Funziona un po’ come le vecchie ricette segrete: Mario Talarico resta perché lavora ancora in questo modo e soprattutto lavora ancora con gli stessi attrezzi e accessori dell’epoca. In bottega l’arredamento è quello originale del 1800; il banchetto, il tornio, sono quelli originali.
Al turista piace tutto questo e gli piace avere la garanzia che l’ombrello “Mario Talarico” è nato qui, con la stessa energia dell’epoca. Ecco il segreto.
Ovviamente, per restare al passo coi tempi, abbiamo dovuto creare uno shop online e abbiamo inventato varie linee di ombrelli. Ad oggi abbiamo la linea souvenir, la linea animalier e la custom con pomelli scolpiti e dipinti a mano che hanno forma di animale, attori, vip e supereroi.
Come già le dicevo, bisogna reinventarsi ogni giorno e stare al passo coi tempi, ma mantenendo i canoni di lavorazione dell’epoca. Si parla tanto di progresso, ma detto tra noi io credo che lavorativamente parlando siamo in pieno regresso. Ciò che conta è “lavorare bene” ecco perché continuo a dire che bisogna sempre volgersi al passato, un esempio? Un armadio del ‘700 e un armadio di oggi: l’armadio di oggi lo troveremo, tra 300 anni, da un antiquario?
Il nostro ombrello è sempre richiesto perché credo abbia un fascino particolare, si sente che è stato realizzato con tutta la passione, emana positività. D’altronde il nostro slogan è:
Con gli ombrelli di Mario Talarico la pioggia diventa Champagne!
Mio zio mi ha raccontato che quando era ragazzino, il Principe entrava in bottega da mio nonno Giovanni e guai se questi lo chiamava Totò oppure signor De Curtis. Lui era “Il Principe”!
Per questo forse avrà scritto ‘A Livella, una sorta di auto-rimprovero, chissà.
Però mi hanno sempre raccontato che era veramente un gran signore dal cuore d’oro.
Amava gli ombrelli con il manico di bambù con il tessuto nero, non solo per eleganza ma perché proteggeva la vista dal sole (il Principe aveva gravi disturbi alla vista, che nell’ultimo periodo lo resero quasi cieco -ndr).
Molti personaggi sono passati per la bottega, ma non ricordo capricci particolari. Forse più che altro una questione di precise esigenze. C’è da dire che chiunque viene da noi ha voglia di personalizzare un po’ il suo ombrello realizzato apposta per lui/lei.
Forse, come capriccioso, mi viene in mente il grande Eduardo De Filippo, che pretese dal nonno l’ombrellino per donna Concetta in manico di vero corno e legno di rosa.
Come le dicevo prima, manteniamo la tradizione.
Da noi il cliente può acquistare l’ombrello come lo si faceva una volta, con manico in vero corno di zebù o di cervo. Abbiamo, infatti, un vasto assortimento di manici dell’800 e del 900. Montiamo gli ombrelli su legno intero (il limone di Sorrento, il ciliegio, il bambù, il nocciolo, la malacca, l’olmo, la noce), ma la vera innovazione è sui tessuti che prima erano in seta al 100%, ma dopo 3 anni questa tendeva a rompersi. Oggi abbiamo ottenuto lo stesso effetto utilizzando un misto di seta e poliestere; in questo modo un ombrello può durare anche 30, 40 e perché no anche 50 anni.
Ho sempre sognato di fare il fumettista, il cantante o l’attore; disegno fin da quando avevo 3 anni e conservo ancora i miei primi schizzi. A 4 anni realizzai un elefantino in plastilina e il papà di una mia amica, che era un medico molto noto, consigliò mia madre di farmi continuare perché promettevo bene. Così a 5 anni realizzai il disegno di un gatto che tramite la scuola fu esposto in un museo in Spagna e a 10 vinsi la gara di arte mondiale dei ragazzi. Ricordo ancora la finale, con otto concorrenti a disegnare davanti alla giuria.
No, non mi sono mai pentito di essere rimasto.
All’inizio fu dura, ma al solo pensiero che l’azienda di famiglia potesse finire in altre mani e soprattutto in mani sbagliate mi portò a decidere abbastanza presto, anche perché la quarta generazione ovvero zio Mario, non ha avuto figli, quindi avrebbe venduto per forza di cose.
Un secolo fa venivano Eduardo, Peppino e Titina De Filippo, Totò, Carosone, Nino Taranto, Aurelio Fierro, Angela Luce. Oggi Ornella Muti e la figlia Naike, Piero Pelù, Alessandro Haber, Enzo Salvi, Pau dei Negrita, Lello Arena, Elena De Curtis. Fino a qualche anno fa veniva Luca De Filippo.
Viene spesso a trovarmi un “vip” che ha lavorato con Totò e mi racconta un sacco di aneddoti e sapete chi è? Diceva sempre “Vincenzo m’è pate a me!” Si, il grande Franco Melidoni alias “Peppeniello”.
Sinceramente non credo nella scuola. Il mestiere si impara in bottega, si ruba; si deve guardare con gli occhi e carpire i segreti.
Più che altro credo che con qualche aiuto concreto anche in termini di riduzione delle tasse crescerebbero i posti di lavoro nel settore artigianale e soprattutto tanti giovani talenti potrebbero venir fuori.
Devo, a questo proposito, prendere in prestito un motto di Totò e modificarlo: “Artigiano si nasce, non si diventa”
Con questo voglio dire che per intraprendere una strada nell’artigianato di un certo livello bisogna avere alla base un minimo di vocazione artistica, per poi migliorarla col tempo e con l’esperienza sul campo.
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