“L’albero della palma” di Gaetano Galderisi, edito da Grafica Step, in poco più di trecento pagine, racconta una storia “antitetica ai Malavoglia, perché i pescatori, i braccianti, gli operai, mandano i figli all’università”.
Il volume si apre con il racconto delle case color ocra di un rione operaio ”al limite dei quartieri più antichi, edificato dallo stato sabaudo”.
Al centro di quel rione svetta “l’albero della palma, solitario ed imponente, totem elegante per gli umili lavoratori”.
E’ facile per il lettore immaginare quei bambini nelle fredde mattine d’inverno, quando inzuppano il pane duro nel latte caldo e “ciascuno guarda il suo albero dove brillano sempre piccole luci a colori. Addobbi a cui tutti hanno contribuito e gioiscono insieme in una condivisa unità spirituale”.
L’autore, Gaetano Galderisi, è psichiatra, docente alla scuola di specializzazione in psichiatria dell’Università di Parma, per professione e per sensibilità conosce gli angoli più remoti dell’animo umano, è abituato a smussarli, a mitigarli, anche in luoghi angusti e dolorosi come la cella di una prigione.
Gaetano Galderisi, emigrato da adolescente, riaccende in sé, raccogliendole insieme, memorie personali e collettive, le memorie di Salerno, la sua città, e della gente di Salerno.
“E’ un popolo di vincitori cocciuti ed ostinati, non si arrende, ma lotta e vince.
Sono Malavoglia al contrario, citando il romanzo di Verga. Portandosi indietro cultura e tratti di civiltà pure nelle durezze di mondi stranieri, uomini e donne hanno fatto grandi loro stessi e la terra d’origine, che nonostante tutto continuano ad amare.
Si andava al Nord o si andava in America, ma si andava via, ad arricchire nuove terre.
Eppure, ancora oggi, guardando le espressioni di tante donne e di tanti uomini, che lasciano per emigrare, viene da considerare ch’è quello il volto autentico dell’Italia. Solido, produttivo, ostinato, pronto a sfidare il futuro, sostenuto dalla fede e dagli affetti di famiglia, senza nascondersi dietro aiuti e sussidi di Stato”.
“Ancora una volta, quello stesso popolo ha ripreso la via dell’emigrazione costretto dal retrocedere sociale ed economico del Paese. Ora è un popolo di giovani vite, come al solito silenzioso e determinato”.
“Sono i volti dell’Italia, vanno per il mondo e la fanno grande. Li vediamo, li abbiamo visti su tanti treni. Tornano in Italia solo per votare.
Producono ricchezza, il sacrifico degli umili ha trasformato il Paese, soccorrono con i loro sacrifici anche con la vita all’incapacità dei potenti. Sono sicuramente vincitori”.
“Come tanti, anche io ho realizzato il sogno grande d’un mondo umile d’operai e pescatori, che donando i sacrifici d’una vita ai propri figli li motivano e li spingono, attraverso un forte senso del dovere, a rendere onore a quei sacrifici e a riscattare le proprie origini”.
“Sono legami forti, profondi perché il mio racconto familiare mi riporta a Camillo Galdersi, emigrato in America ai primi del Novecento, era uno zio di mio padre, violinista al Metropolitan, il teatro più importante di New York.
Eravamo orgogliosissimi di questo zio che aveva fatto strada.
E poi c’è mio cugino, Giuseppe Galderisi, famoso calciatore di serie A. I tifosi della Juventus lo hanno soprannominato Nanu. Dopo la vittoria dello scudetto con il Verona, ha giocato nei campionati nazionali americani per un po’ di anni”.
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