Per definire oggi come si può concepire il “Lifestyle” occorre una premessa storica recente, almeno in Italia.
A metà degli anni ottanta il credo più diffuso non era il Cattolicesimo ma era, più che mai rispetto a prima di allora, il dio denaro: erano i periodi dell’edonismo reaganiano, contraddistinto da pellegrinaggi laici di piccolo borghesi verso i templi della ricchezza, Montecarlo ad esempio, e passeggiate sui moli a rimirare opulente navi.
Non erano yacht, ma navi da ottanta e più metri, proprietà di sceicchi, con gli elicotteri che vi atterravano sopra; incrociavano in Costa Smeralda dimostrando che se a terra il limite erano le Rolls Royce e le Ferrari, a mare non c’era limite alcuno.
Sempre nello stesso periodo, i politici di turno (ovvero sempre gli stessi), spadroneggiavano nel centro di Roma esibendo scorte, pagate dallo Stato, di tre o quattro auto blindate e lanciate a tutta birra ed a sirene spiegate, dimostrando che il potere non aveva bisogno della proprietà, ma di esibire il possesso, ovvero l’uso di beni non propri, la quintessenza dell’affermazione nella vita: a loro tutto era dovuto.
Poi è venuta Tangentopoli, chi aveva “fatto” i soldi non li esibiva più in Italia, ma solo all’estero; chi li aveva sempre avuti, magari di famiglia, non li aveva mai esibiti, non ne aveva motivo, e neanche oggi ne ha donde.
Allo stesso tempo, dagli anni settanta in poi, era cresciuto il fenomeno dei contestatori, dei figli di fiori, dei pacifisti, di quelli che andavano in India per cercare la loro strada, di chi si è ispirato e si è fatto buddista, chi si è dato allo yoga, e chi allo yin e yang.
Una pletora di persone si sono “salvate”, non hanno mai creduto a questo stato di cose terrene e beni voluttuari, si sono affrancate dal consumismo e dalla società della “obsolescenza programmata”; e per fortuna non sono stati i soli a guardare il mondo con altri occhi, disincantati dalle sirene contemporanee.
E questi sono stati forse più felici degli altri, perché non hanno mai ceduto alle lusinghe del potere, alla bramosia del denaro più o meno facile, ed hanno saputo accontentarsi di quel poco di più che spinge sì al desiderio, ma senza esagerare: sono stati i “calvinisti”, gente che ha valorizzato il dare in mezzo ad una società che invece lucrava per interesse personale anche sugli aiuti umanitari ai bisognosi.
Alla fine di una vita, ciò che conta è avere amato, è la cifra della saggezza dei benefattori e dei generosi felici.
L’arte è stata la parte emblematica di questi cambiamenti; per quel che credo, il miglior riformista, antesignano dei tempi, è stato Pablo Picasso, che ha impiegato una vita a tornare a dipingere (e sentire, dunque) come un bambino, alienando quindi tutto il superfluo (almeno nella pittura) per dipingere con un tratto l’essenza.
Via via diversi autori ed artisti hanno dipinto, scolpito, tagliato, inciso un mondo di essenzialità, di segni, di materiali comuni (Burri, Fontana, Guttuso, etc.).
Questo movimento culturale ed artistico è stato prodromo del nuovo senso del gusto, del piacere del bello, dell’essenza delle cose, scevro degli orpelli e delle ridondanze; si è andati alla ricerca della “sostanza” più che dell’apparenza, della solidità più che del “far vedere” (Coco Chanel diceva: “la moda passa, la classe resta”), della semplicità d’uso più che della tecnologia esasperata.
Adesso è in corso una ulteriore revisione di immediatezza, semplificazione, nella vita quotidiana come anche nella moda, nell’architettura, nell’arte moderna e contemporanea.
Perché probabilmente la vera libertà consiste nell’affrancarsi dal bisogno in senso lato, economico innanzi tutto, ma più generalmente non elemosinare amore, affetto ad altri; essere padroni della percezione positiva del proprio corpo, della salute, del benessere, che significa essere in equilibrio consapevole con sé stessi e con chi ci circonda, mondo animale e vegetale che sia, basta ogni tanto abbracciare un albero e “sentirlo”;
bando alla ridondanza, essere più modesti, molto attenti allo spreco, coscienti dell’impronta ecologica che ognuno di noi imprime nel mondo.
Che significa “bisogna essere attenti al benessere interiore, al benessere non visibile?” Ci dobbiamo rifare alla capacità di sentirsi bene, non di dimostrare di sentirsi bene, in una parola la “positiva interazione consapevole e soddisfacente con sé stessi e con l’ambiente”,
ovvero vivere uno stato di equilibrio dinamico, fisico e mentale, sempre teso verso la novità del futuro, ma altrettanto criticamente attento a non chiedere troppo, a non accumulare ciò che non serve, a giovarsi solo di ciò che piace, a concedere una parte del nostro banchetto a chi ha meno.
Un proverbio africano dice: se vuoi andare veloce cammina da solo, se vuoi andare lontano camminare in gruppo.
Rapportato a noi: siamo una piccola parte del mondo, siamo ontogenesi e filogenesi, siamo angeli con un’ala soltanto e per volare dobbiamo restare uniti a qualcuno. Siamo in volo tra le epoche, cadere è solo un attimo.
La bellezza è tenersi in equilibrio, sereni e felici, sorridendo alla vita, volendo bene agli altri, amando il mondo.
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