Cultura

La regina Giovanna e il capitano di ventura

A Milano ho sempre guardato con poco interesse all’esistenza di un viale intitolato a una misconosciuta Regina Giovanna. Quel viale testimonia un momento importante per l’educazione politica di Francesco Sforza. Un esempio di come Napoli e Milano siano  legate da un filo che attraversa secoli di storia.

La sirena Partenope e la spada.

Quando Giovanna D’Angiò Durazzo ascende al trono nel 1414, alla morte del fratello Ladislao I,  è una donna vedova, non più giovane e senza eredi ma, soprattutto, è una delle prime donne sovrane contesa tra diversi pretendenti; decisamente non erano quelle le premesse per un regno stabile e duraturo.

Un aiuto arrivò da un fiero Capitano già al soldo di Ladislao, Giacomo Attendolo da Cotignola, detto Sforza. Le sue capacità ed il suo disciplinato esercito erano apprezzati anche dal papa Giovanni XXIII che lo assunse per combattere inizialmente proprio contro il fratello di Giovanna.

Napoli, Castel dell’Ovo
Foto di Michela Romano

 

Nel medio evo quella delle armi era un’arte che i nobili esercitavano per diritto di nascita, guardando alla loro categoria come ad un esclusivo club privato; non deve sorprendere se nei campi di battaglia  era molto più onorevole e remunerativo evitare di ammazzarsi vicendevolmente grazie all’istituto della “prigionia sulla parola”, che trasformava la guerra in una faccenda per assicurare ai molti cadetti senza terre né rendite, riscatti e ricchezze.

L ‘Apprendistato di Francesco

Per esercitare politiche estere assertive e spregiudicate meglio avvalersi di eserciti prezzolati, almeno fino a che il committente saldava l’onere del contratto con regolarità. Papa Giovanni XXIII non considerò nella dovuta serietà questo particolare, dato che l’Attendolo rispose alla chiamata di Ladislao nel 1412 per il suo progetto di consolidamento del regno di Napoli.

Lo Sforza accettò e offrì a Ladislao come pegno della sua fedeltà suo figlio dodicenne alla corte di Napoli. Ufficialmente un ostaggio, in verità desiderava che l’educazione politica di Francesco Sforza avvenisse in una delle principali corti italiane. Francesco doveva imparare le arti della diplomazia e le accortezze della politica oltre al mestiere delle armi.

Ladislao ricambiò il gesto donando a Francesco la contea di Tricarico. Lo introdusse nella nobiltà titolata, passaggio ambito da tutti i capitani di ventura desiderosi di consolidare la propria posizione sociale accedendo ai ranghi dell’aristocrazia feudale, ricevendone anche i benefici e le rendite.

La regina e il Capitano di ventura.

Nell’improvvisa morte di Ladislao Attendolo vide un’opportunità da cogliere; offrì a Giovanna i propri servigi e la forza prezzolata del suo esercito. Giovanna lo accolse di buon grado, ma la sua personalità volitiva, e le nomine disinvolte delle figure chiave nel suo gubernaculum trasformavano la corte napoletana in uno stagno dalle acque sempre agitate e torbide; il brodo di coltura ideale per trame e congiure.

La guerra contro la lega capeggiata dal papa furoreggiava nelle campagne laziali al confine con il regno di Napoli, ma Roma non capitolava. A Napoli la situazione non era tranquilla; le pressioni dei nobili affinché venisse generato un erede insieme alle istanze dei favoriti dalla regina mettevano gli Sforza al centro degli intrighi di corte.

 

MIlano, Naviglio Grande
Foto di Andrea Scuratti, Comune di Milano

L’amore e la battaglia.

Le capacità  e l’abilità dimostrata in battaglia rendevano i due Sforza invisi agli uomini che si contendevano gli umori e i favori della regina Giovanna. Pandolfello Alopo e Sigismondo Caracciolo ordirono congiure per eliminare l’ingombrante presenza dello Sforza e del suo esercito dalla corte e dal regno; ma non era facile esautorare Giacomo, nominato Gran Connestabile del regno, e suo figlio Francesco conte di Tricarico e marito di Polissena Ruffo che gli portò in dote terre e castelli in Calabria.

Padre e figlio riuscirono ad avere la meglio, ma conobbero anche la prigionia ed il rischio della condanna a morte.

L’acqua e la terra

Il 1420 sembrava offrire le chances per definire la contesa tra il papa, Martino V, ed il regno di Napoli; il pontefice sostenne le ragioni di Luigi III d’Angiò, pretendente al trono di Napoli, invitando lo Sforza a fare altrettanto, che acconsentì. Giovanna però nominò Alfonso V d’Aragona suo figlio adottivo destinandolo al trono di Napoli. Scompaginando i disegni del pontefice, gettava nuovamente il sud Italia in un vortice in cui Alfonso V assediò Napoli e calò sulla Calabria.

Intervenne il giovane Francesco che, grazie anche agli appoggi in Calabria ottenuti in dote, inflisse una cocente sconfitta ad Alfonso, salvando  il trono di Giovanna.

Napoli, Plebiscito. Foto di Michela Romano

L’insolvenza del papa, l’inaffidabilità di Alfonso e la campagna militare in stallo erano i sintomi di una profonda inquietudine politica; la soluzione arrivò con il ritorno di Giovanna ai consigli del papa: rinnegò Alfonso e accettò Luigi come erede.

Giacomo morì nei pressi di Pescara nel 1423, servendo Giovanna; Francesco concluse l’opera del padre sconfiggendo gli aragonesi a Napoli e L’Aquila.

Per la fine un nuovo inizio

Nel 1424 Francesco lasciò la corte partenopea poco più che ventenne, orfano di padre e vedovo da circa quattro anni. Nei dodici anni a Napoli trascorse la sua giovinezza entrando a pieno titolo nell’età adulta, ricco di esperienze e d’insegnamenti di vita. Riuscì a mantenere coeso l’esercito costruito dal padre,  sviluppò la sua attitudine alla diplomazia e alla trattativa grazie all’educazione politica ricevuta; la vita a corte gli fornì una visione del mondo e del potere realiste e scevre da simbolismi;  anche il volere del papa davanti alla mancanza di denaro era solo un capriccio, l’autorità dei re doveva poggiare su molte gambe per rimanere salda.

La permanenza a Napoli fu un momento importante per l’educazione politica di Francesco Sforza; in particolare insegnò al futuro duca di Milano l’importanza di saper rischiare con freddezza e lucidità. Imparò cosa significa arrivare ad un passo dal perdere ogni cosa: dagli onori e dai titoli fino alla prigionia. A Napoli furono gli anni della formazione, in cui ottenne il privilegio del cognome Sforza, trofeo del valore della casata e dell’acume di Francesco, che da Capitano di ventura, si avviò a diventare una delle figure più importanti del rinascimento italiano.

L’esperienza di Francesco Sforza presso la regina Giovanna lo traghettò direttamente verso il Ducato di Milano. Lasciamoci affascinare dalla Storia, scopriremmo che ciò che unisce ha radici molto più profonde di quello che crediamo dividerci.

Per approfondire:

Duby G, “il cavaliere, la donna e il prete”: tre figure fondamentali della società medievale.

Lomartire C.M., “Gli Sforza”: per un racconto avvincente e sobrio.

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di Andrea Crivellotto

Andrea Crivellotto

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